Diciotto sforamenti di Pm10 a Terni, 16 a Città di Castello, 14 a Foligno e 10 a Perugia. È questo il quadro della situazione per ciò che riguarda la qualità dell’aria a 22 giorni dall’inizio del nuovo anno, come testimoniato dalle centraline di monitoraggio installate dall’Arpa. Dati che Legambiente Umbria ha utilizzato per redigere, come accade ogni anno di questi tempi il dossier “Mal’Aria”, che di fatto evidenzia lo stato preoccupante in cui versano le quattro città umbre.
Nel lanciare il dossier, però, Legambiente fa anche riferimento ad uno studio condotto dall’Arpa nel 2016, attraverso il quale sono state analizzate le cause dei continui superamenti dei livelli di polveri sottili. E così, mentre a Terni e Perugia a farla da padrona è principalmente il traffico, a Città di Castello ad incidere maggiormente è il riscaldamento. Per quanto riguarda Foligno, invece, lo smog provocato dalle auto incide per il 19 per cento, termosifoni e camini per il 22,3 per cento.
Ma cos’è, dunque, che fa della città della Quintana uno dei comuni umbri con la peggiore qualità dell’aria? Ad incidere maggiormente sono, per il 58 per cento, altre sorgenti insieme a quella che viene definita massa non modellizzata. Della categoria “altre sorgenti” fanno parte, nello specifico, il suolo, e quindi la conformazione della città e il cosiddetto aerosol secondario, che non è altro che il risultato della reazione chimica tra inquinanti primari. Inquinanti sia di tipo naturale come le particelle di suolo erose e sollevate o risospese dal vento,materiale organico derivante da incendi di boschi, pollini o spore; e sia di tipo antropico, legati quindi sia all’uso di combustibili fossili che ad attività industriali o allo smaltimento di rifiuti.
Indipendentemente da quale sia la natura del fenomeno, comunque, per Legambiente Umbria occorre l’azione concreta delle amministrazioni comunali che fin troppo spesso – denunciano dall’associazione ambientalista – si trincerano dietro l’assenza di piogge o scaricando le responsabilità su chi li ha preceduti. Nè basta il ricorso al blocco del traffico nei centri o le ordinanze contro l’accensione di stufe e caminetti, che da Legambiente apostrofano come meri palliativi. Necessari, invece, interventi strutturali da parte delle istituzioni, “previsti dallo stesso Piano regionale di qualità dell’aria – sottolineano – puntualmente disatteso”.
Possibili interventi? Si va dalla riduzione dell’uso delle auto, incentivando sistemi di mobilità alternativa, alla riorganizzazione dei sistemi di vita delle città così da ridurre l’esigenza di spostamento e le distanze percorse con i mezzi a motore. E ancora un’efficace comunicazione sugli incentivi per ammodernare i sistemi di riscaldamento nelle abitazioni e l’applicazione delle migliori tecnologie per ridurre le emissioni delle industrie. Misure necessarie – concludono da Legambiente – anche per ridurre l’esposizione dei cittadini ai rischi ambientali e i costi sanitari associati, garantendo al contempo aspettative di vita più lunghe.