Tra cortometraggi, produzioni e lampi di genio, Giulia Binario è ormai una garanzia nel mondo dei registi emergenti umbri. Ritagliarsi uno spazio negli ambitissimi set cinematografici è sempre più difficile: serve passione, talento, ma soprattutto intuito, perché le grandi occasioni non arrivano quasi mai per caso, vanno costruite con tanto lavoro. La giovane regista, originaria di Bastia Umbra, l’ha capito e, negli anni, i suoi lavori sono stati sempre più apprezzati.
Ora sta per tornare con un nuovo progetto, dal titolo “L’invenzione della tradizione”, ambientato proprio nella sua Bastia, dove è cominciato tutto, quando ancora era solo una bambina.
Come è nata la tua passione per il mondo del cinema?
È iniziato tutto quando ero molto piccola, facevo le elementari e ci fecero scrivere una sceneggiatura per un film,in cui tutti i bambini erano parte del cast artistico. Inoltre, mio padre aveva un’handycam che utilizzava per riprendere i momenti più belli della vita quotidiana. Ad 8 anni ho iniziato a giocare a fare i film: con mia sorella facevamo finta di fare delle sfilate di moda e io, oltre ad occuparmi delle riprese, curavo le scenografie, i costumi e persino i titoli di coda, che con un po’ di fantasia scrivevo in un foglio. Sono entrata in contatto con questo mondo davvero prestissimo, ma l’ho subito amato.
Hai una lunga formazione alle spalle, quali sono state le esperienze più importanti che hai fatto?
Dopo il liceo classico ed una laurea in servizio sociale, mi sono iscritta alla magistrale in filosofia ed etica, ma non l’ho terminata per inseguire il sogno di lavorare nel cinema. Le mie prime esperienze sono arrivate quando mi sono trasferita a Firenze per frequentare la Scuola Nazionale di Cinema Indipendente: in quel periodo, infatti, ho lavorato per una casa di produzione di spot pubblicitari e ho fatto parte di unset con il noto regista e produttore Michael Bay. Tra tutte, però, quella che mi ha segnato di più è stata la possibilità di lavorare con Marco Bellocchio, dopo aver vinto un bando di selezione a Bobbio per il prestigioso corso “Fare Cinema”, incentrato sulla regia.
Che cosa ti affascina in particolare della regia?
Prendiamo una storia che tutti conoscono, “Cappuccetto Rosso”. Se io chiedessi a qualcuno di girare delle scene per raccontarla, lo farebbe in un modo, ma a sua volta se coinvolgessi un’altra persona, magari cambierebbe tutto, usando delle prospettive diverse. Nonostante la storia sia sempre la stessa, avremmo molte versioni della favola, tutte con dei punti di vista singolari: questa è la potenza della regia.
A breve uscirai con un cortometraggio dal titolo “l’invenzione della tradizione”, come è nata l’idea?
L’idea è nata proprio quando sono tornata da Bobbio, in quel clima artisticamente molto stimolante, non potevo che tornare piena di progetti. A Bastia Umbra, la mia città, esiste da 58 anni il Palio di San Michele, una tradizione davvero spettacolare. Ho sempre amato questa festa, ma dopo aver fatto una ricerca antropologica per la mia tesi di laurea, sono addirittura riuscita a dargli una spiegazione scientifica.
Puoi darci qualche anticipazione sul corto?
Certo, il protagonista si chiama Edoardo e si ritrova a Bastia durante la 57° edizione del Palio di San Michele. Attraverso i suoi occhi si ripercorre il lavoro, la preparazione e la messa in scena di sfilate, gare e giochi. Grazie al suo coinvolgimento, si riesce a cogliere la partecipazione, il divertimento e l’enorme passione che gli abitanti del paese mettono nella realizzazione dell’evento. Chi ha avuto la fortuna di viverlo, sa che tutta la cittàin quei giorni si ferma. Ognuno sa di appartenere a quel luogo, è come una favola. Quando il palio finisce, ci si chiede: è successo davvero?
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe continuare a lavorare nel mondo del cinema, impegnandomi sempre di più nella produzione, ma il mio sogno è, e sarà, sempre e solo uno: diventare una regista.