In questi ultimi anni la politica italiana ha partorito un’avvilente semplificazione della comunicazione verso la società, in modo da portare il semplice cittadino ad una svalutazione del suo pensiero critico. In questo modo le persone si adattano a non pensare, si adattano a non processare i problemi complessi, un po’ come facevano gli ignavi nell’inferno dantesco, non prendono posizioni, aspettano che qualcun altro decida per loro, o almeno che qualcun altro gli fornisca una verità preconfezionata e già pronta per l’uso mediatico, pronta ad essere abbracciata anche se non condivisa, difesa anche se non verificata, o presa come assunto anche se non capita.
In poche parole stiamo viaggiando verso una deriva intellettuale che trova il suo fulgido esempio nei talk show contemporanei, dove gli insulti si sostituiscono al dibattito, dove chi alza di più la voce diventa il mito da imitare, e dove il gossip si erge indisturbato a giudice e giuria.
Ma tutto questo sembra un piano ben studiato, un piano per ridurre i semplici cittadini a degli automi che non vogliono più ragionare sui problemi complessi, ma si aspettano che il loro idolo di turno parli, indicando cosi la “conformazione sociale” da seguire, e soprattutto da difendere a suon di insulti e urla in un dilagante “tutti contro tutti”.
Ho voluto introdurre questo articolo con l’opera di Sebastian Louiss il Mito di Antigone, appositamente per ricordare quanto oggi la nostra società abbia smesso di comprendere e ascoltare l’altro.
Come ci spiega il professor Gustavo Zagrebelsky, la società moderna è la “tragedia del confronto negato”, dove Creonte ed Antigone si fanno portatori di due posizioni irriducibili, non riescono a trovare un terreno d’incontro, a dialogare, e la loro incapacità di comprendere e di ascoltare il punto di vista dell’atro innesca la tragedia che tutti conosciamo.
Ma se per assurdo oggi volessimo analizzare attraverso il mito di Antignone, la situazione politica e sociale del nostro paese, con quale atteggiamento affronteremmo i problemi attuali, e quali altre scelte potremmo fare?
Certamente saremmo combattuti tra le ragioni della legge e quelle del cuore, perché entrambe esprimono due concezioni perfettamente legittime. Ad esempio, appoggeremo chi vuole aprire per lavorare e non morire socialmente, o chi vuole chiudere per la paura di morire fisicamente? Paradossalmente non è importante quale idea decidessimo di sposare, perché in entrambe esistono delle ragioni legittime e incontestabili. Paradossalmente la cosa più importante è che la nostra mancanza di empatia non ci faccia propendere per quella che urla di più, o peggio per quella che ci conviene di più.
Ma per evitare questa deriva sociale abbiamo bisogno di cultura, di sapere essere, di metterci sempre in discussione, di controllare sempre le fonti prima di sposarle, dobbiamo pretendere che i nostri figli abbiano insegnanti che siano “facilitatori del ragionamento” perché come diceva Michel de Montaigne in merito alla prima finalità dell’insegnamento “è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”.