“Un vero e proprio unicum nella regione”. Così viene definito lo scavo archeologico di Pietrarossa di Trevi. Sito che, lo scorso 14 luglio, ha visto concludersi l’ottava campagna di scavo curata dall’associazione Castrum Archeologia. Lo scavo, con finalità anche didattiche, ha visto la partecipazione di numerosi studenti provenienti in gran parte dall’Università degli Studi di Perugia, che hanno potuto sperimentare sul campo le più avanzate tecnologie della ricerca archeologica. Anche quest’ultima campagna ha restituito importanti tasselli per la ricostruzione della topografia e dello sviluppo del municipium romano di Trebiae che i dati di scavo testimoniano già a partire dal III secolo a.C. fino al suo definitivo abbandono risalente all’VIII secolo d.C.
Lo scavo si è concentrato sull’area di una grande domus di elevato livello sociale, già parzialmente indagata nelle precedenti campagne archeologiche, la cui ultima fase costruttiva risulta compresa tra la metà del II secolo e l’inizio del III secolo d.C.
“Sono stati riportati alla luce nuovi ambienti – spiegano i responsabili di Castrum Archeologia – come un vestibolo, tabernae, un grande atrio dotato di una pavimentazione musiva e piccoli cubicola, pavimentati in cocciopesto in perfetto stato di conservazione, i quali mostrano un interessante processo di riconversione d’uso, quando la domus, in età tardoantica, perse la sua funzione originaria. Infatti, a questo periodo risalgono alcune sepolture che sono state rinvenute all’interno degli ambienti della domus e che dimostrano come il sito non subì un definitivo abbandono ma un ‘nuovo modo’ di abitare in risposta alla crisi dell’impero e a mutate esigenze economiche e funzionali”.
Per gli esperti, le indagini archeologiche di Pietrarossa ancora una volta hanno regalato rinvenimenti dalla straordinaria rilevanza scientifica. “È indubbio – viene precisato – che il sito si rivela come eccezionale ‘modello’ per la comprensione delle dinamiche insediative che interessarono la Valle Umbra nel corso dei secoli. La stessa modalità di abbandono del sito, sigillato nella sua ultima fase di vita da importanti esondazioni del fiume Clitunno, ne ha garantito un elevatissimo livello di conservazione. Le strutture, giunte sino a noi con alzati che raggiungono in alcuni casi uno sviluppo in altezza superiore al metro, fanno dell’area archeologica di Pietrarossa un vero e proprio unicum in Umbria”.
Le indagini, svolte su concessione del ministero della Cultura, sono state svolte grazie alla collaborazione tra vari enti e istituzioni: dalla Soprintendenza Belle arti e paesaggio dell’Umbria nella figura della dottoressa Gabriella Sabatini, l’Università degli Studi di Perugia con la direzione scientifica della professoressa Donatella Scortecci e la direzione sul campo del dottor Alessio Pascolini. A collaborare anche il Comune di Trevi, proprietario dell’area di scavo che “sin dall’inizio – spiegano da Castrum Archeologia -, grazie all’allora sindaco Bernardino Sperandio, ha mostrato grande sensibilità e disponibilità, confermate dall’attuale primo cittadino Ferdinando Gemma”.