“A quanti di Foligno soffrirono e caddero per la dignità e la grandezza della patria”. Queste le parole incise sulla lapide del cimitero centrale dedicata ai folignati che persero la vita nei lager di Mauthausen e Flossenburg. Lapide che lunecì 3 febbraio è stata omaggiata dalle autorità con la deposizione di una corona d’alloro. E con lei il monumento che si trova nella rotatoria di via 3 febbraio. Un nome e una data che per Foligno hanno un significato particolare. Lo stesso giorno del 1944, infatti, 24 giovani furono catturati dalle forze naziste e deportati nei due campi di concentramento tedeschi. Di loro, soltanto cinque fecero ritorno a casa. Un giorno, quindi, da commemorare.
E così, il sindaco Stefano Zuccarini, autorità civili e militari, rappresentanze di Aned e Anpi, lo hanno fatto. Uniti nel ricordo delle vittime, figli della città della Quintana. “Condannare con forza gli scempi di quegli anni – è intervenuto il primo cittadino – è nostro dovere, perché il pensiero di uccidere e di imporre con violenza un ideale è qualcosa di assurdo. Oggi commemoriamo i nostri concittadini caduti – ha concluso – e lo facciamo in condivisione di un ricordo che ci appartiene indifferentemente da distinzioni politiche”.
Dopo un minuto di silenzio al cospetto della stele, il presidente Aned Umbria, Maria Pizzoni, ha scandito, uno ad uno, i nomi dei caduti. La stessa Pizzoni – sorella, tra l’altro, di un martire dei lager nazisti – intervenendo ai microfoni di Radio Gente Umbra ha commentato lo scenario globale attuale caratterizzato da crescenti e rinnovate forme di odio e di negazionismo della Shoah.
Uno scenario, di cui il Bel Paese sembra far parte. Il “Rapporto Italia 2020” dell’Eurispes, tanto per fare un esempio, ha stimato l’aumento – dal 2004 ad oggi – delle persone che pensano che la Shoah non sia mai avvenuta: si è passati dal 2,7% al 15,6% odierno. “Perché queste persone non vanno nei campi di concentramento a vedere le prove di quanto è successo – ha dichiarato la presidente Aned Umbria ai microfoni di Rgunotizie.it – e perché non danno fiducia alle testimonianze delle poche persone rimaste in vita, come ad esempio la Segre?”.
Per Maria Pizzoni, dunque, una questione di ignoranza. “È colpa nostra – ha concluso -, della generazione che ha preceduto quella attuale, rea di aver custodito in silenzio e troppo gelosamente un dolore che, invece, avrebbe dovuto essere diffuso con più forza.”