L’individuo si fa uomo attraverso uno scatto impresso sulla pellicola. Guardando tra le sue molteplici foto, colpisce in particolare il ritratto della famiglia Pininfarina. A circondarli era la fama e la ricchezza, ma ciò che si riesce a cogliere è un attimo di felice normalità. Quattro persone sedute in macchina con i loro volti distesi e reali. Chi l’ha scattata è il fotografo Remo Pecorara, torinese di nascita, che vive e lavora da sempre nella città sabauda e non solo. Ha girato il mondo, con la sua macchina fotografica, ritraendo i volti e i momenti più importanti della storia. Grandi personaggi sono stati colti dal suo veloce e sensibile obiettivo, lasciando alle nuove generazioni l’immagine dell’individualità e della collettività di allora. Dalla famiglia Agnelli ai premi Nobel, come Rita Levi Montalcini, ai presidenti della Repubblica, a Papa Giovanni Paolo II, fino a Causescu, il maresciallo Tito e Michail Gorbačëv. Photoreporter e pubblicista professionale free-lance, ha lavorato nel mondo della politica partecipando a numerosi eventi e missioni all’estero. Successivamente si è cimentato nell’ambito dei motori, collaborando per molteplici riviste specializzate e con gli uffici stampa di Pininfarina, Bertone e Italdesign (Giugiaro). Attualmente vive a Torino con l’inseparabile moglie ed espone le sue foto più significative in Umbria, nel borgo di Passignano, con la mostra “Scatti sul Novecento – La città dell’Avvocato” della rassegna “Isola del libro”, visibile fino al 30 giugno.
Remo Pecorara, quando nasce la sua passione per la fotografia?
E’ nata dopo che avevo cominciato la professione. Perché mi occupavo si di fotografia, ma commerciale. Questo perché i tempi erano quelli e si faceva così. Quindi gavetta generale con ogni tipo di immagine, dalle cresime, ai classici ricordi come matrimoni e manifestazioni. Ma poi, arrivato ad un certo punto intorno ai 26 anni, mi sembrava di non avere più sbocchi. Quindi, anche aiutato da vecchi amici che avevano fatto strada nei loro campi, sono stato introdotto ed è cominciata la storia della mia vera passione.
L’esordio?
E’ stato nella politica. A fine anni ’60.
La “città sabauda” era fredda e chiusa o permetteva un certo spazio?
Era una società che, pur avendo determinati punti di vista e osservatori, dava il giusto spazio.
Quali sono le sensazioni che provava durante lo scatto e adesso, che rivede le foto con alcuni dei personaggi che hanno fatto la storia?
Sono passati tanti anni. Le emozioni nel vederle e aver passato giornate e ore su queste immagini a cercare le impostazioni di questa mostra in Umbria, confesso che mi hanno portato a dei momenti di cedimento. Invece, quando scatto, guardo e traguardo l’immagine. Quasi come se la vivessi con passione. A volte pare che questa persona alla quale fai una foto, ti veda e ti parli attraverso l’obiettivo. Ti dà l’impressione che il personaggio plurifotografato ti voglia dire qualcosa.
Come se guardasse solo lei?
Si, ma in realtà non è così, salvo rare eccezioni. Il discorso è che c’è come una simbiosi, uno scambio interiore che si verifica. Se non altro, questo vale per me.
Ma anche per il pubblico che la osserva attraverso le sue immagini.
Certo. Dai qualcosa di veramente tuo che scaturisce dal profondo e dà un po’ di creatività.
Grandi personaggi come Pininfarina, Agnelli, Pertini, e grandi momenti storici. L’episodio che le è rimasto più impresso? Il più curioso?
Ce ne sono tanti perché più di 50 anni di fotografia in tutti i luoghi, dal più umile al più elevato, sono molti. Ma un episodio, che mi ricordo spesso, è con l’Avvocato durante un salone dell’auto. Lui era abituato ad arrivare a questi eventi verso sera, quando tutti se n’erano andati. E tutto con il suo staff al seguito, tra i quali Luca di Montezemolo, Nasi, il fratello Umberto. Arrivava e cominciava a guardarsi intorno. Ero solo in questo immenso salone pieno di auto e, accortomi che stava arrivando, ho cominciato a fotografarlo. Ma, essendo solo, mi sentivo un po’ nudo e ho rallentato le sequenze. Fu allora che Agnelli, incamminatosi in un saloncino laterale, mi vide. Mi sono sentito in dovere di scusarmi e ho detto “Avvocato chiedo scusa ma…è mezz’ora che la sto fotografando. Mi dica se le do fastidio!”.
E lui?
In modo molto serafico mi è venuto incontro, mi ha dato la mano e ha detto: “Lei faccia tutto quello che vuole”. E ci siamo ristretti la mano. Posso affermare con certezza che quella è stata un’ottima giornata.
Nella società in cui viviamo, secondo lei le nuove tecnologie rappresentano l’evoluzione o l’involuzione della foto?
Direi che la situazione è a metà. Internet e le nuove tecnologie in Italia ci sono ormai 25 anni. Con la foto digitale i grandi giornali si erano attrezzati sin da subito con le prime fotocamere pesanti, anzi pesantissime. Il problema non è stare al passo con la tecnologia ma che il mercato del lavoro è calato moltissimo. E soprattutto dagli anni ’90, quando mi ricordo che stavo rientrando da una missione nella guerra del Golfo. Questa situazione che si evolve a velocità supersoniche, da un lato pare che renda tutto facile e comprensibile e dall’altro purtroppo, come in tutte le professioni, crea disagio e mancanza di lavoro.
Pensa che con l’immediatezza si perda anche la qualità?
Un po’ si perde. Nonostante nella fotografia digitale ci siano stati dei passi da giganti, la qualità ne risente. Se non altro nelle varie sfumature che nella pellicola analogica non c’erano.
Inoltre, fotografando tutto e tutti si perde quell’attimo particolare e non ci si gode il momento.
Si perde l’attimo, ma ognuno sceglie il suo momento. Dipende se si lavora tanto per fare giornata o se si riesce ad abbinare il fatto di poter guadagnare facendo della passione il proprio lavoro. In questo modo i risultati sono migliori e ci si sente appagati. Il problema più grande resta quello della professione. Ci sono colleghi che sono grandi, bravi, bravissimi e attrezzatissimi, ma sono in pochi a vivere del loro lavoro da fotografi. Più che altro ci sono dei dopolavoristi.
Un consiglio alle nuove leve che, nonostante tutto, vogliono intraprendere questa professione?
Cercatevi un posto fisso se ce la fate. Ovviamente, battute a parte, l’importante è mettersi sempre in gioco. E quando ti metti in gioco devi cercare di incontrare quelli più bravi di te. Perché è li che impari veramente. Certo, si impara da tutti, anche dal più umile e tranquillo dei fotografi. Ma è necessario trovare una controparte preparata e all’avanguardia.
Perché si ruba con gli occhi?
Esatto. Si ha nel cuore e si ruba con gli occhi.