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La pace parla anche il dialetto umbro: 12 i militari in Libano

Pubblicato il 4 Febbraio 2017 12:46 - Modificato il 5 Settembre 2023 18:10

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Sono una dozzina i militari umbri che in questo momento si trovano in Libano, impegnati nella missione internazionale Unifil. Una piccola classe che fa parte di un contingente più corposo composto da 1.100 militari italiani. Donne e uomini, lontani da casa già da mesi per servire le Nazioni Unite sotto un’unica bandiera. Per alcuni si tratta della prima missione all’estero, qualcun altro invece conosce già bene quali sono le difficoltà e al contempo il valore di questo genere di esperienze. La redazione di Rgu, seguendo l’iter previsto in questi casi, ha voluto mettersi in contatto con alcuni di loro per creare un lungo filo che dall’Umbria raggiunge il Libano. Si tratta di Massimo Fabbri, 43 anni di Città di Castello, Fabrizio Reali, 33 anni di Foligno, Graziano Tarmati, 31 anni di Castel Giorgio, Giulio Giammarioli, 27 anni di Umbertide e Giordano Orlandi, 27 anni di Marsciano. La giornata per tutti, nonostante i diversi ruoli e compiti, comincia molto presto. Dei cinque è Fabbri il veterano, militare dal settembre del 1989 quando entrò alla Scuola militare Nunziatella in Napoli per terminare i tre anni di liceo scientifico, l’ultimo ad entrare in Accademia invece è Orlandi, nel 2010, che è anche uno dei più giovani del gruppo. Per quasi tutti si tratta della prima missione all’estero, eccezion fatta per Fabbri che già altre cinque volte si è allontanato da Città di Castello per prendere parte ad operazioni per il mantenimento della pace (due le esperienze in Kosovo e altre tre in Libano). Una delle prime curiosità a cui troviamo una risposta univoca è quella che riguarda i rapporti con la comunità locale e con gli altri militari. Gli italiani, presenti ormai da dieci anni sul territorio, sono considerati amici dalla popolazione che apprezza l’operato di questi “stranieri” che si adoperano per mantenere l’armonia. Stesso discorso riguarda anche i rapporti con i soldati di altre nazionalità: “Avere gli stessi obiettivi – dichiara Fabbri – quali quelli della sicurezza e della ricostruzione spinge tutto il personale verso al cooperazione”- Ecco dunque che, nonostante le differenze, è la sinergia a farla da padrone permettendo non soltanto di lavorare meglio per il raggiungimento del fine ultimo della missione ma anche di arricchire l’esperienza personale di ogni militare. “Le componenti straniere con le quali sono entrato in contatto – commenta Orlandi – mi hanno permesso di apprezzarne la diversità dal mio esercito, sia nel modo di lavorare che nei rapporti gerarchici. Questa interazione è stata sempre positiva sia con gli eserciti che compongono la missione Unifil sia con l’esercito libanese con il quale cooperiamo a stretto contatto con molte attività”. Cerchiamo di avvicinarci il più possibile ai cinque corregionali facendo loro qualche domanda e facendoci raccontare quello che stanno vivendo. Le note positive e negative del fare una missione all’estero? Se per quanto riguarda gli aspetti avversi della situazione a fare capolino in tutte le risposte è la lontananza da casa e dagli affetti – “Il primo Natale fuori non si dimentica” scrive Giammarioli – perlopiù quello che si evince dalle dichiarazioni di tutti è un senso di appagamento per quanto si sta facendo. “I sorrisi dei bambini e la gratitudine negli occhi delle persone che visiti ti scaldano il cuore” continua Giammarioli che in Libano sta svolgendo il suo lavoro di medico, tra gli aspetti più apprezzati poi la multiculturalità, la collaborazione con eserciti e modi di vivere diversi dal proprio ed anche “imparare una lingua diversa, come l’inglese in questo caso” aggiunge Tarmati. La comunicazione con le proprie famiglie fortunatamente è garantita dalle tecnologie avanzate. L’Umbria comunque accompagna quotidianamente i militari anche se non sempre e solo per pensieri positivi. A destare non poche preoccupazioni infatti sono i recenti eventi sismici che hanno colpito anche la regione verde d’Italia, che incidono negativamente sul già gravoso peso della lontananza da casa. Siete riusciti a portare un pò di Umbria anche lì? In che modo? “Succede spesso che ci incontriamo e ricordiamo aneddoti, posti, luoghi, riferiti alla nostra terra con un pizzico di malinconia” spiega Fabrizio Reali, Tarmati e Giammarioli non dimenticano di menzionare invece l’inconfondibile dialetto che li accompagna “sempre e ovunque” insieme ad una buona scorta di Baci Perugina “di cui avevo fatto scorta prima di partire” aggiunge il 27 anni di Umbertide. Come si trasforma un uomo/donna che diventa un militare? “Essere militari non significa soltanto vestire un uniforme – afferma Tarmati – si diventa parte integrante del nostro Stato e consapevoli di essere al servizio della gente in qualsiasi occasione e per qualsiasi esigenza”. Giammarioli descrive il suo lavoro come una “una scuola di vita che, per forza di cose, ti fa crescere e maturare, portandoti di fronte ai tuoi limiti e spingendoti a superarli”, parla di crescita anche Orlandi: “Sicuramente il nostro mondo fa crescere più in fretta molti aspetti caratteriali rispetto ai nostri coetanei”. Per Reali “il militare ha l’opportunità grazie ad esperienze di questo tipo di diventare un uomo o una donna più completa perché incontra realtà e situazioni sicuramente lontane dall’ordinario”. “Non credo si possa parlare di una vera e propria trasformazione, – è infine il pensiero di Fabbri – semmai di evidenziare alcuni lati del carattere già presenti dentro di noi. Emergono, prevalenti, la lealtà, la determinazione, lo spirito di sacrificio, l’idea che un tuo gesto possa concorrere a fare stare bene qualcun altro”.

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