La necessità di una convivenza che favorisca il controllo e lo scambio tra le culture è divenuta oramai imprescindibile. Lo spostamento dei popoli da una parte all’altre del mondo globale sta di fatto determinando la nascita di una società multiculturale con tutti i problemi sociali, economici e politici che ne conseguono, e che soprattutto devono essere urgentemente affrontati. Mentre si vengono a creare ambienti unificati in cui i diversi popoli vengono in contatto, in ambito culturale crescono tendenze negative che spingono alla nascita di forme difensive dell’identità soggettiva e collettiva. Possiamo indubbiamente cercare di rimuovere tutti quegli ostacoli che si presentano nella comunicazione interculturale, incominciando dal rapporto con “l’altro” dove il riconoscimento costituisce un momento indispensabile della costruzione dell’identità. È già noto che, per poter comunicare con gli altri, dobbiamo prima di tutto riconoscerli e percepirli come individui, cercando anche di non incorrere nel rischio dell’oggettivazione in cui potremmo privare il soggetto del suo diritto di autorappresentazione e autonarrazione.
Analizzando criticamente la relazione esistente tra cultura e società, penso che il problema dello stereotipo sia il terreno più fertile in assoluto per la nascita dei grandi scogli comunicativi, quali il pregiudizio, il razzismo, e l’etnocentrismo.
Lo stereotipo, infatti, essendo legato alla percezione, categorizza gli individui sulla base di caratteristiche altamente visibili, gli attribuisce un insieme di caratteristiche, ed estende queste caratteristiche a ciascun membro di quella categoria, ma non solo, esso favorisce anche l’etnocentrismo, che consiste nella tendenza da parte dei membri di un gruppo, a valutare gli altri gruppi, o i singoli membri degli altri gruppi, tenendo la propria cultura come criterio di riferimento, assumendone la superiorità e l’universalità. Questo, si traduce nel disprezzo e nell’intolleranza verso gli altri gruppi. L’etnocentrismo pur avendo delle funzioni utili nella comunicazione (la rende più semplice), favorisce sicuramente l’esagerazione delle caratteristiche positive del proprio gruppo e l’esagerazione delle caratteristiche negative degli altri gruppi. L’irrazionalità dell’etnocentrismo impedisce una rispettosa comprensione dell’identità degli altri, e può fondare le basi del razzismo, che insieme allo stereotipo vanno a categorizzare i gruppi sociali sulla base della loro appartenenza razziale.
Il riconoscimento dell’altro costituisce un momento indispensabile alla costruzione dell’identità, in quanto se noi fossimo in grado di individualizzare e riconoscere l’altro avremmo messo subito un grosso freno alla costruzione dello stereotipo.
I diversi modelli di relazione tra le culture che si sono succeduti nel corso della storia, non hanno portato ad una soluzione comunicativa stabile e duratura, basti vedere le continue manifestazioni di ostilità nei confronti degli immigrati, di cui i mass media non si dimenticano mai di darcene notizia, ma si dimenticano spesso di evidenziare i fattori oggettivi di disagio sociale connessi.
Analizzando alcuni modelli di relazione tra le culture si può notare come in ognuno si abbiano dei vantaggi, ma anche delle grandi problematiche. Se osserviamo il modello “relativista” del mosaico delle culture possiamo notare quanto ai giorni d’oggi sia disarmante porre sullo stesso piano qualunque manifestazione culturale, riconoscendo ad esse indistintamente dignità e valori intrinseci. Forse, sarebbe più costruttivo ipotizzare un riconoscimento critico, cioè ponderando dei criteri quali la reciprocità, riconosco e rispetto chi mi conosce e mi rispetta, questo a mio parere sembra essere irrinunciabile. Ragionevole può essere anche concedere piena libertà a espressioni e/o comportamenti che sono specifici di una cultura (lingua, costumi, abbigliamento), quando questi però non vadano a compromettere l’integrità, la morale degli individui dello stato ospitante.
Sul versante opposto abbiamo il modello “assimilazionista”, ovvero la fusione e cancellazione delle differenze da parte della cultura dominante, dove il comune destino dell’umanità si afferma sulle basi delle culture laiche. Anche questo modello di stampo, cosi liberale, è oramai alla corda. Basti vedere il modello “assimilazionista” alla francese, dove lo Stato, in nome di una laicità sovrana, è arrivato a proibire ogni simbolo di appartenenza. Questo ha portato gli individui a non sentirsi più di appartenere alla propria cultura di origine in quanto non potevano adottarne i simboli, e non sentirsi neanche integrati nella cultura di arrivo, in quanto sentivano di non essere buoni cittadini per le loro diversità culturali non accettate.
In conclusione l’obiettivo, per una società interculturale, potrebbe essere quello di un’etica convivenza, in cui una molteplicità di culture non sia un elemento disgregante, o solamente assistenzialista, ma faccia spazio ad una logica di scambio dinamico di relazioni tra le culture. Non dobbiamo, però, adottare la visione del mosaico culturale in cui tante culture, non comunicanti tra loro, erano destinate all’inasprimento delle loro relazioni con conseguente aumento dei conflitti ed emarginazione delle culture più deboli. Dobbiamo invece costruire una possibilità di confronto positivo tra le culture (utilizzando magari l’ascolto attivo) e riconoscere la parità dei loro diritti, mettendo in campo un impegno comune per la loro conservazione. Ma questo è possibile se facciamo emergere una coscienza in cui non ci rapportiamo con gli altri in un perenne stato di autodifesa.