Nonni e nonne che mettono a disposizione la loro pensione per il benessere dei loro familiari. Un fenomeno sempre più frequente in Italia e che in Umbria coinvolge, oggi, quattro famiglie su dieci. Secondo i dati riportati dall’Istat, infatti, il 39 per cento delle famiglie che risiedono nel Cuore verde d’Italia usufruisce dell’aiuto di genitori o nonni ormai pensionati: numeri alla mano sono quasi 150mila i nuclei coinvolti. Questa, dunque, la fotografia scattata in Umbria, dove la percentuale di anziani è di due punti superiore alla media nazionale.
A fare il punto della situazione il segretario generale dello Spi Cgil di Perugia, Mario Bravi. “Il 26 per cento degli Umbri ha più di 65 anni” spiega Bravi ai microfoni di Radio Gente Umbra, sottolineando come oltre ad una percentuale maggiore di anziani rispetto alle altre regioni italiane, l’Umbria fa anche i conti con pensioni che “risultano più basse della media nazionale”. Esistono poi differenze, all’interno del territorio umbro, tra le pensioni percepite dalle donne e dagli uomini: all’incirca dell’8 per cento più basse le prime, anche in virtù di percorsi lavorativi che Mario Bravi definisce “più frammentari e precari”. Nonostante questo, le donne – che rappresentano la percentuale più alta di pensionati umbri – contribuiscono al pari degli uomini ad aiutare le famiglie nelle spese.
Le prestazioni pensionistiche in Umbria risultano oltre 310mila, quasi 131mila le pensionate, mentre i pensionati sono poco più di 103mila. “Gli anziani costituiscono un elemento forte di coesione sociale – prosegue il segretario dello Spi Cgil -, questo anche perché spesso hanno consumi ridotti e quindi una parte consistente del loro reddito va a coprire le necessità delle generazioni più giovani”. Un aiuto quello offerto dai pensionati che però, sottolinea Bravi, non si può e non si deve sostituire allo Stato. “Gli anziani dovrebbero ‘spendere’ il loro reddito per far fronte ai loro stessi bisogni – commenta -, il sostegno che danno alle loro famiglie è chiaramente un elemento di solidarietà, ma si ha perché non c’è l’intervento dello Stato. Intervento – conclude – che sarebbe però necessario e che andrebbe indirizzato sul welfare, con attenzione ad esempio agli asili nido o indirizzando meglio il reddito di cittadinanza”.