Ho fatto la terza dose. Regolare, dopo i cinque mesi dall’ultima somministrazione con il vaccino Pfizer, il 3 gennaio scorso, al centro polivalente Ca’ Rapillo di Spello, ho effettuato il famoso “booster” con Moderna.
Credo che l’atto di vaccinazione, a detta di qualcuno “coraggioso”, sia, a due anni dalla pandemia, quasi necessario per combattere questa tremenda piaga, ma questo è un mio pensiero e non siamo qui per raccontare l’importanza o meno del vaccino, quanto l’esperienza vissuta.
Tralasciando il disagio per il comune di Foligno mancante di un proprio hub vaccinale – anche se forse tra il realizzarlo alla Paciana e il lasciarlo a ridosso della superstrada a Spello non cambia praticamente nulla, per cui possiamo anche considerare il centro Ca’ Rapillo come il centro vaccinale di Foligno, seppur un proprio Hub potrebbe aiutare e non poco -, le fasi per effettuare il richiamo non sono così snelle, per usare un eufemismo.
La mia prenotazione era per le 17.30 e da buon maniaco della puntualità sono arrivato a Ca’ Rapillo una decina di minuti prima, rendendomi subito conto però che le cose sarebbero andate diversamente rispetto alle due somministrazioni precedenti.
Immediatamente ho notato una lunga fila – e anche un discreto assembramento – a ridosso del portone principale, con un volontario di Protezione civile a dare i “numeretti” (torneremo dopo sui volontari), tralasciando totalmente gli orari di prenotazione. In pratica, chiunque fosse prenotato per quella giornata poteva arrivare a qualunque orario, prendere il proprio numero e aspettare. Ergo, alle 17.15 avevano chiamato il numero 4 ed io ero in possesso del 98.
Il disagio tra le persone che erano in attesa fuori dal centro, in una serata fortunatamente non particolarmente fredda, era alle stelle. Nessun orario di prenotazione aveva più valore a quel punto, la nuova certezza era data dalla consapevolezza di dover attendere un tempo “indefinito”.
L’attesa per il primo step, che consisteva nel solo ingresso all’interno del centro, è durata circa un’ora e trenta, con persone anche anziane in piedi riparate sotto un gazebo aperto (fra pochi giorni si dovrà pensare a qualche fungo riscaldante e alcune panche o lo situazione sarà complessa).
Una volta entrati, con i volontari che annunciavano numeri e lettere come nelle migliori tombole, al via il secondo step. Ad attendere gli utenti una seconda fila, sempre gestita dalla Protezione civile, per prendere un altro numero e per “spuntare” gli orari di prenotazione (ormai totalmente andati). Con questo secondo numero si aveva quindi accesso al terzo step, con una nuova fila era per il triage e il colloquio con il medico per timbrare e firmare i fogli precedentemente compilati. Ma, purtroppo, anche in questa situazione il metodo di chiamata non è risultato molto chiaro. E così, i medici chiamavano i numeri dati una volta entrati all’interno del centro, ma non avendo un elenco di quelli spuntati il gioco è diventato quasi surreale, con il medico che chiamava il numero e il paziente che gli rispondeva “è stato già chiamato…io sono il 276”. L’attesa è stata di 25 minuti.
Una volta effettuato il triage e il colloquio con il medico, via al quarto step. Con lo stesso numero (preso all’ingresso del centro) gli infermieri e il personale sanitario chiamavano, a volte con il megafono e a volte senza, coloro che si dovevano vaccinare. L’attesa, in questo caso, è stata più o meno di 15 minuti.
Arrivato il mio turno, felice di poter scoprire il mio braccio per la terza dose, dopo una breve chiacchierata con l’infermiera e la battuta “bravo, ora sei super vaccinato” che mi ha scaldato il cuore, sono andato a sedermi in sala d’attesa per i 15 minuti di rito post somministrazione.
E lì ho continuato ad osservare il via vai dei cittadini, ritrovandomi a riflettere su quanto vissuto in quelle ore, insieme a tante altre persone.
La mia non è una critica diretta alla Usl Umbria 2 che sta facendo di tutto per permetterci la vaccinazione, ai sanitari che si ritrovano a fare anche ore straordinarie e, da stacanovisti, a lavorare anche più di quanto previsto, o ai volontari di Croce Rossa o Protezione civile – anche se alcuni volontari non dovrebbero parlare di cose che non gli competono, soprattutto ad una folla non serena (e lo dico da volontario di Protezione civile) -, ma sicuramente qualcosa che non va c’è ed è sotto gli occhi di tutti. Magari da qui a pochi giorni sarà soltanto un ricordo e tutto filerà liscio come l’olio ma, considerando l’imperversare delle varianti e di un inverno ancora “positivo”, credo sia giusto pensare a qualcosa di più per coloro che si vanno a vaccinare.