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Foligno, i detenuti del carcere di Spoleto donano nuove poltrone per la PET-TC

L'iniziativa rientra nel progetto “Catena di Cambiamento” ideato dagli stessi carcerati, che hanno messo in vendita le loro creazioni come opere in legno, opere di pittura e molto altro

Pubblicato il 4 Dicembre 2024 12:53 - Modificato il 5 Dicembre 2024 15:05

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Si è svolta nei giorni scorsi all’ospedale “San Giovanni Battista” di Foligno la cerimonia di consegna delle nuove poltrone per il servizio di Medicina Nucleare Centro PET-TC diretto dal dottor Silvio Sivolella. L’iniziativa rappresenta molto più di una semplice donazione di arredi sanitari ma è la testimonianza tangibile di come la solidarietà possa abbattere ogni barriera, in quanto la metà dei fondi che hanno reso possibile l’acquisto provengono dagli ospiti della casa di reclusione di Spoleto.

L’iniziativa rientra nel progetto “Catena di Cambiamento” ideato dai detenuti del carcere spoletino e sviluppato attraverso la creazione, all’interno del carcere, di oggetti di vario genere e tipologia, spaziando dalla pittura alle opere in legno, dai manufatti con stoffe di riciclo ai lavori realizzati con la carta e cartone, dagli scritti di prosa ai versi di poesie, per terminare con la produzione di piantine aromatiche.
Il tutto è stato messo in esposizione in una bancarella alla fiera di Loreto che si è tenuta l’8 e il 9 settembre scorso a Spoleto.

Grazie al successo ottenuto da questa iniziativa in termini di vendite e ad altre donazioni volontarie pervenute alla Caritas Diocesana di Spoleto-Norcia, che è stata la coordinatrice del progetto, è stato possibile acquistare e consegnare al servizio ospedaliero di Foligno le due poltrone.

Si tratta quindi di un modello virtuoso di collaborazione tra istituzioni e un esempio concreto di come il percorso riabilitativo possa tradursi in azioni tangibili a beneficio dell’intera comunità.

“Chi vive una condizione di sofferenza sa riconoscere e comprendere meglio il dolore degli altri” ha sottolineato il sindaco di Foligno Stefano Zuccarini, evidenziando come questo gesto dimostri la particolare sensibilità di chi, pur vivendo una situazione di detenzione, sceglie di tendere una mano verso chi soffre.

Il direttore generale della Usl Umbria 2 Piero Carsili si è detto “profondamente onorato di un gesto che va ben oltre la semplice donazione. È un esempio di buona pratica – ha dichiarato il manager sanitario – con una forte rilevanza sociale, che sottolinea come la sanità debba sempre più puntare all’umanizzazione delle cure. L’ospedale di Foligno, terzo polo sanitario dell’Umbria, conferma così la sua eccellenza – ha dichiarato il dottor Carsili – non solo nei servizi ma anche nell’approccio umano alla cura”.

Il direttore sanitario della Usl Umbria 2 Nando Scarpelli ha sottolineato come “queste poltrone rappresentino un ponte tra il mondo interno ed esterno del carcere, fondamentale per il avviare e consolidare il necessario processo di cambiamento”.
La direttrice della casa di reclusione Bernardina Di Mario ha evidenziato come “il carcere deve essere sempre più un luogo di educazione dove l’uomo della pena è diverso dall’uomo del reato. La solidarietà nasce da questo processo profondo di consapevolezza e di riflessione”.

“In questo progetto – ha spiegato la referente Caritas del progetto Elisabetta Giovannetti presente alla cerimonia, svolta nella sala Alesini, insieme ai rappresentanti delle istituzioni, dell’azienda sanitaria, della direzione ospedaliera e al direttore della Caritas di Spoleto-Norcia don Edoardo Rossi, al vicario generale dell’Archidiocesi di Spoleto-Norcia don Sem Fioretti e al vicecomandante del carcere di Spoleto Nicola Borrelli – tante sono state le maglie di congiunzione che hanno portato alla creazione di una straordinaria catena di solidarietà che ha messo al centro l’attenzione verso una categoria di persone molto fragili, quale quella rappresentata dai malati oncologici. Spesso il giudizio e il pregiudizio costruiscono delle grandi barriere alla comunicazione e alla comprensione. Con questa iniziativa si è voluto dimostrare che in realtà il carcere non è solo il luogo della pena ma, attraverso un serio e concreto percorso rieducativo, esso può rappresentare per l’individuo reo il punto di partenza per riacquistare la propria dignità umana, facendosi, per esempio, prossimo alle prossimità, come è accaduto sposando questa nobile causa”.

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