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La musica raggae di Andrea Piazza porta alta la bandiera dell’Umbria nel mondo

Pubblicato il 26 Marzo 2015 22:46 - Modificato il 6 Settembre 2023 00:36

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Andrea è un giovane cantante raggae, amerino di nascita e romano d’adozione, che è riuscito a realizzare il suo sogno. Partito dalla sua Umbria infatti, è riuscito a sbarcare con la sua musica in Jamaica, patria del “Rastafarianesim”o, dove ha registrato il suo album allo Shengen Studio di Alborosie, ed infine volare ancora più in là, fino a Gerusalemme, dove ha girato il videoclip del suo primo singolo uscito: “The Holy Land” (puoi guardarlo qui: https://youtu.be/oMtCVhFZhso).

Trent’anni e un grande artista come produttore artistico: Alborosie. Svelaci, come hai fatto?

Allora, innanzitutto per ancora un po’ di mesi, sono nei nella decade dei venti, per cui, non sono ancora trenta! E’ iniziato tutto grazie ad un’idea del mio produttore, Valter Vincenti (One More Dub rec.) che nel 2012 va una prima volta in Jamaica in vacanza. L’unico che poteva aiutarlo era Alberto D’Ascola, in arte Alborosie, ma quando Valter gli propone il progetto, inizialmente lui risponde che non può aiutarci. Valter non si da per vinto, e nel 2013 torna in Jamaica, portando con sé un demo di provini miei chitarra e voce, molto semplici, molto sporchi, non “editati” per capirci. Alborosie si innamora del progetto e ci propone di produrre tutto il mio album d’esordio, negli Shengen Studios, a Kingston, in Jamaica. Un sogno.

“The Holy Land” è il tuo primo singolo, e l’hai girato interamente a Gerusalemme. Che effetto fa?

Provo principalmente due sentimenti: gratitudine e commozione. Gratitudine per il sogno realizzato, commozione perché dietro tutto ciò ci sono fatiche, persone, incontri, sacrifici, scontri e paure. E’ stato molto complesso girare in un’area geografica in cui si è sempre in guerra, ad ogni angolo, metro dopo metro. Ma quella terra mi ha stupito. La curiosità delle storie riprese, l’aiuto da parte di alcune persone, il concerto acustico che mi hanno chiesto di fare a Betlemme, sono tutte cose che non dimenticherò mai, a prescindere da come andrà il progetto Plaza, a prescindere da come andrà la mia vita.

Il raggae e l’Umbria: che tipo di rapporto c’è?

Direi ottimo. Penso alla crew di I-Schence a Perugia, che dal 1996 promuove ed anima party ed eventi mitologici, creando un movimento molto ampio, di tendenza diciamo. Nella provincia ternana invece, quasi tutto lo dobbiamo ad un gruppo che si chiamava Reggae Fistols. Credo siano stati i primi a proporre vibrazioni in levare. Poi ci sono stati i Rude Society sound, I Raster a Spoleto ed infine il sottoscritto. Insomma, da sempre l’Umbria ha un ottimo movimento reggae. L’unica cosa che mi preoccupa un po’ è che non vedo ricambio. Se la novità sono io, che è dal 1999 che suono black music, le cose non vanno granché bene. Non so, staremo a vedere.

Cosa diresti ai tanti ragazzi che vorrebbero realizzare i loro sogni proprio come hai fatto te e talvolta per farlo sono costretti ad andarsene dall’Italia? Sognare è un lusso che ci si può ancora permettere in Italia?

Sognare oggi come oggi in Italia è un gesto rivoluzionario. E’ in atto un movimento conservatore umano e sociale molto forte che fa si che i giovani si scontrino con delle mentalità lontane da loro anni luce. Ma le cose possono cambiare, lo credo fortemente. Auto-organizzandosi, creando culture “sperimentali”, fuori dai canoni sterili delle culture dominanti, comunità, rapporti fuori da legami esclusivamente economici, esperienze che io chiamo “Teste di ponte” affinché chi dirige, chi finanzia, si debba per forza interessare ai “Sogni”. La Jamaica mi ha insegnato che piuttosto che pensare a come fare, è meglio cominciare a fare, chiedere aiuto, appoggiarsi alle persone ed uscire dall’individualismo. Non bisogna arrendersi mai.

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