Sabato 28 marzo l’Urban di Perugia ospiterà l’artista italiano Colapesce. Per l’occasione lo abbiamo intervistato e conosciuto un pò più da vicino.
Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, il tuo album di debutto e’ “Un meraviglioso declino”(vincitore della Targa Tenco 2012) . Ma prima è uscito “9 cover”, album nel quale hai arrangiato e rielaborato 9 pezzi di grandi cantautori italiani e internazionali. Da Venditti a Michael Jackson, dagli 883 ad Alan Sorrenti. Sono stati loro ad ispirare la tua musica?
Ciao a tutti e grazie per lo spazio. No, ho degli ascolti molto trasversali. Non esclusivamente quegli artisti mi hanno influenzato, ma anche.
Quindi a chi ti ispiri, qual è la tua guida musicale?
Avendo ascolti molto trasversali, ti potrei dire dai Talking Heads a Roberto Murolo, dai Kraftwerk ai Sufian Stevens, National, Wilko…..ascolto veramente tantissima musica. Comunque sono di formazione meno italiana, forse. La formazione italiana è arrivata tardi, dopo i 20 anni più o meno. Prima ascoltavo principalmente musica alternativa estera, americana o inglese.
In “Un meraviglioso declino” e nell’ultimo album “Egomostro”, entrambi molto intimisti, ti fai interprete di una generazione: quella dei 30enni. Possiamo dire che sia questo il filo conduttore dei due album? E cosa ne pensi di questa generazione, tu che la vivi e la scrivi?
Si, probabilmente questa è una delle cose che lega “Il declino” ad “Egomostro”, anche se sono due dischi completamente diversi. “Egomostro” è più autobiografico. Anche se poi parla di dinamiche comuni alla mia generazione, quindi si può definire un disco più generazionale. Però, in realtà, parto da esperienze personali e quindi risulta molto piu intimo. A differenza di “Un meraviglioso declino”, che invece era un disco piu rivolto verso l’esterno. Forse più sociale.
Quindi cosa ne pensi di questa generazione?
Giro la domanda?
Perchè in una delle canzoni del primo album (“Anche oggi si dorme domani”) dici “hai solamente 30 anni ed intorno c’è il vuoto”. Questa è una frase che mi ha colpito molto…
Ma, in realtà sono fiducioso perchè penso che i drammi della nostra generazione non dipendono da noi stessi. A volte siamo soggetti vulnerabili e subiamo più di altri. Non abbiamo molte chances, secondo me, di miglioramento. Ma non dipende da noi, sicuramente dalla generazione dei nostri padri che hanno consegnato un’Italia distrutta a noi figli. Ti do un dato. La maggior parte dei miei amici, il 70 per cento, vive all’estero. Quindi, più che una fuga di cervelli viviamo un’emorragia. Non è un dato rassicurante e non viviamo in ottime acque. Soprattutto nel mio campo, nel tuo campo e nel campo artistico in generale. E’ un momento storico davvero difficile.
So che sei amico del cantante degli Amor Fou (Alessandro Raina) adesso giudice di un famoso talent televisivo. Come vedi questo fenomeno dei talent? Pensi che siano una fucina di nuovi artisti o esercizio di stile con ottimi interpreti ma senza l’anima di un tempo?
Niente di tutto ciò. Non vedo ottimi interpreti. Mi sembrano dei karaoke scialbi. Non mi fa nessun tipo di effetto. Infatti con Alessandro litighiamo spesso su questo argomento. Lui ci lavora, ma fortunantamente gli amici servono anche al confronto. Mi sembrano dei programmi inutili che non fanno bene alla musica italiana. Forse rientrano piu nel mondo dell’intrattenimento. Però da lì alla pretesa di fare cultura con quella m… è un’altra storia.
Nel tuo ultimo album “Egomostro”, troviamo l’utilizzo di sintetizzatori e, se mi permetti, un suono quasi anni ’80 che sembra richiamare un pò lo stile dell’ultimo album di Battisti (quando tornò dall’America e sinonimo del suo cambiamento). È un’ispirazione voluta o meno?
Si, si,si….. più fine ’70, primi ’80. In realtà non è propriamente anni ’80, perchè i suoni non sono del tutto digitalizzati con le batterie elettroniche. Magari ci sono batterie vere, però con molti sint. Avevo dei riferimenti precisi, come hai detto tu stessa, da Battisti di fine ’70 primi ’80, a un disco che adoro dei Talking Heads, che si intitola “Remain in Light”. Questi erano i due riferimenti principali dal punto di vista sonoro. E poi il disco è molto diverso dal “declino”, perchè ci sono anche inserti non solo di sintetizzatori ed elettronica. Ma anche di strumenti inusuali per il pop e la musica indipendente italiana: come il tamburo a cornice, strumento tipico siciliano, il maxophon anni ’30, una sorta di autoharp che si suona con dei martelletti. Oppure dei fiati finti misti a dei fiati veri. C’è una ricerca speciale che abbiamo fatto su “Egomostro”, insieme a Mario Conte con cui ho prodotto il disco. Ho impiegato quasi tre anni per scriverlo e un anno per produrlo.
Legandoci all’argomento delle etichette indipendenti e delle autoproduzioni, ho letto che Vasco Brondi dice “oggi si è indipendenti più per sfiga che per scelta”. Condividi questa nuova tendenza del mondo della musica o credi che sia dettata dalla necessità?
Io ho un pensiero diverso a riguardo. Penso che ognuno si collochi automaticamente. Non c’è musica indipendente o musica major. Uno deve seguire il cuore. Colapesce è questo. Ti faccio un esempio. A me sono arrivate delle proposte da major. Però, nel momento in cui ti devono cambiare come artista, perchè hanno pretese di scelta del singolo o produrti il singolo in un certo modo, a me non interessa. Non scendo a compromessi e ho anche rifiutato queste offerte. Secondo me ormai non c’è più il limite tra major e indipendente. Solo che la major è principalmente una struttura che produce talent e il mainstream superpop. Poi, per il resto, non tira fuori nientre di interessante. Invece la musica indipendente ha ancora la possibilità di essere libera, appunto indipendente, e fare le cose migliori. Però, in Italia, pare che fare musica indipendente aspiri a sfornare artisti pop. Non ci si sta capendo più niente. Io sinceramente provo a fare quello che mi piace fare, seguendo la mia passione senza scendere a compromessi. È l’unico modo, secondo me, per fare qualcosa di buono.
Tu, da cantautore, porti le tue esperienze sia nella tua musica che sul palco. Ma come ti vedi da siciliano emigrato?
Da siciliano emigrato? Io non sono emigrato, viaggio più che altro. Sono un fiero siciliano, fiero di avere la residenza in Sicilia. La Sicilia è il nuovo nord. Non ho la frustazione del mezzogiorno.
Com’è nata l’idea di raccontare i tuoi brani anche con i disegni di Alessandro Baronciani?
Con Alessandro siamo amici da parecchio tempo, ed è da tre anni più o meno che stiamo collaborando, da quando abbiamo fatto un primo esperimento a Roma al festival della nostra etichetta….un pò improvvisata la cosa. Poi da lì, invece, abbiamo fatto un vero e proprio tour nei teatri occupati, alla fine del tour di “Un meraviglioso declino”. E ci siamo trovati benissimo. Tant’è che abbiamo deciso di scrivere un fumetto insieme, che uscirà a maggio per Bao Publishing, che si intitola “La distanza”. Spero di continuare questa collaborazione con Alessandro perchè è un grande artista. Sicuramente faremo un tour insieme più in là.
Un richiamo ad una canzone che definirei quasi lapalissiana, se mi passi il termine, dell’ultimo album: “Maledetti italiani”. Possiamo definirci ancora italiani?
Ma ormai siamo cittadini del mondo. Neanche europei. Umani e basta.