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L'”incosciente” genio artistico di Beverly Pepper

Pubblicato il 24 Maggio 2015 11:42 - Modificato il 6 Settembre 2023 00:04

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Un vero e proprio laboratorio d’arte e di idee. In continuo fermento, immerso nelle verdi campagne di Todi, accoglie amici e visitatori, che rimangono estasiati dalla grandezza e dalla bellezza di progetti, opere finite e in divenire, potendo toccare con mano i materiali utilizzati e respirare gli odori della loro lavorazione. Beverly Pepper, artista e scultrice di fama internazionale, vive qui, accanto al suo laboratorio da oltre cinquant’anni, continuando a lavorare con grande passione ed energia. Nata a Brooklyn, ha studiato a Parigi e in Italia, innamorandosi prima di Roma e poi dell’Umbria, regione che espone molte delle sue sculture a cielo aperto, come il celebre “The gift of Icarus”, donato alla città di Spoleto nel 1962.

Beverly, perché proprio l’Umbria?

L’Umbria mi ha scelto, non ho scelto io l’Umbria. Venivamo qui, con mio marito (Curtis Bill Pepper), a mangiare nel ristorante “Umbria” negli anni ’60.

Siamo in una casa che più che essere un’abitazione è una fucina di opere. Tutto gira intorno all’arte, e sembra essere quasi in un mondo parallelo, lontani dalla quotidianità…..

In questa casa è tutto bello ma complicatino….dai trasporti alla gestione. Mio marito è morto un anno fa e fino ad allora non avevo mai tempo per fermarmi a riflettere, tra mostre in Svizzera, all’Ara Pacis.. solo quando uno si ferma capisce di essere in un posto così. E si diventa coscienti di molte cose.

I suoi modelli principali di riferimento quando ha iniziato ad essere un’artista.

Da quando avevo 6 anni, i miei genitori mi hanno permesso di dipingere tutte le pareti della cantina. Un artista non sceglie di cominciare ad esserlo, ci si trova dentro. Una persona non si sveglia e dice “Oggi decido di essere un’artista”. Non funziona così. Tutti fanno scarabocchi, dipinti……ma un giorno ci si ritrova ad essere un vero artista. La vita non è un processo mentale ma è intuizione, azzardo. Non ci sono molte scelte da fare. E’ un flusso che ogni tanto ti conduce ad un bivio. E non sono sicura che siamo anche coscienti, il più delle volte, di essere davanti a questo bivio.

Ce ne accorgiamo sempre dopo, no?

Se va male!

Lei lavora e ha sempre lavorato materiali duri, forti, in un ambiente soprattutto maschile. Com’è riuscita ad esprimere la femminilità nelle sue opere?

Se mi avessero fatto questa domanda negli anni ’60 o ’70, avrebbe fatto scalpore la mia risposta. Ma oggi, non c’è più una cosa femminile o maschile nell’arte. Si ci sono artisti che vogliono fare delle opere più femminili rispetto ad altri. Ma guarda quanti uomini fanno cose molto dolci e delicate. Io non divido il mondo tra artista maschio e artista femmina. Sono artisti. Punto.

Ma nei primi periodi è stato difficile introdursi in un ambiente maschile o è stata una cosa naturale?

Io non sapevo che potesse essere difficile. Avevo una madre che non ha mai pensato di farmi crescere come una bambola. Quando ero piccola e i miei genitori affrontavano discorsi molto seri, io ero trattata come una di loro. Quando potevo parlare, hanno lasciato sempre aperta la porta al confronto.

Uno spirito moderno.

Certamente, e questo ha influito molto.

Ma un artista, seppur “incosciente”, ha un certo dovere?

Il dovere che abbiamo è quello di rispettare la civiltà e tutto ciò che abbiamo per andare avanti. L’artista spesso dice che fa l’arte per se stesso, però c’è sempre dentro di noi la responsabilità che quello che si fa deve avere una certa verità da lasciare ai posteri. Non so spiegare come si mette la verità nell’arte. So solo che quando finisco un’opera la vedo, nella sua verità. Perché, quando la faccio la correggo e solo quando è finita so che è finita…… quando non ho più una meta davanti a me. E questo è per me e per tutti. Non so come si crei tutto ciò. Si sente.

E in quel momento c’è un contatto particolare con le sue creazioni…..possiamo dire come con un figlio?

Le mie opere fanno combattere come figli, ma non sono miei figli e non sono di altri. Stanno lì. Finiti. Non c’è più uno scambio quando sono terminate. Ogni creazione è un essere fatto e portato a termine con subcoscienza.

Il suo rapporto con Giovanni Carandente quando la portò a Spoleto, dove ci sono ancora le sue opere.

Quando Carandente ci ha invitato eravamo in 10 a lavorare nella fabbrica. Io non sapevo cosa dovevo fare: era la prima volta che lavoravo in un posto così e per me era un grandissimo dono che poi ha cambiato la mia vita. Come accennavo, io non sono cosciente tutto il tempo. Io lavoro nella mia subcoscienza. Non pensavo che questo rapporto con lui sarebbe stato uno dei bivi che avrebbero cambiato la mia vita.

Sappiamo del suo rapporto con Dorazio. Quanto ha influito, conoscendolo come un artista quasi “istrionico”?

Noi eravamo nella stessa galleria e lo conoscevo già dagli anni 50. Abbiamo diviso mostre a New York, a Roma, a San Marino e abbiamo viaggiato molto insieme. Era un’amicizia molto strana perché poteva essere quasi come un amore romantico ma non c’era neanche un pizzico di questo tra noi. Lui era diversi uomini. Per gli altri, invece, era solo due uomini: uno giovane e matto, e quello più maturo. Lui era geniale e la sua genialità era non solo come artista…era proprio una mente. E’ stato il primo italiano a scrivere un libro sull’arte contemporanea. Dorazio aveva il suo binario e se qualcuno provava a raggiungerlo, ne rimaneva quasi compromesso. Era affascinante, lui diceva che non aveva mai sbagliato e io ascoltavo pensando che l’arte invece è fatta con gli sbagli, con “the divine accident” (incidenti di percorso). E il bello dell’artista è che non è consapevole.

Dunque, basta un po’ di incoscienza?

Incoscienza si, ma nella vita c’è anche la fortuna. Ci sono alcuni che hanno la fortuna e non la riconoscono e quelli che ne vedono poca e ci si buttano a capofitto. E io sono tra questi ultimi. Se c’è anche la minima possibilità di crescere e farsi avanti in un piccolo spiraglio di fortuna mi ci butto dentro e mi faccio spazio. Io mi seguo, non sono davanti a me….sono dietro di me. Spesso le opere che faccio sono una sorpresa per gli altri ma anche per me stessa. Non scelgo mai cosa fare. Qualche volta accade che si vede quello che si sta facendo solo una volta terminato . Si deve avere coscienza senza coscienza per fare arte.

Lei ha parlato prima di “divinità”. Cosa ne pensa del fatto che in medio oriente, in Africa l’Isis sta distruggendo l’arte in nome di dio.

In nome del loro dio. E’ la cosa più terribile perché si capisce l’ignoranza e non meritano di avere quelle bellezze perché non hanno rispetto nemmeno di loro stessi davanti allo specchio. 7 anni fa quando vennero giù le prime statue, ho cominciato a piangere. E io ho assistito a chi distrugge anche le cose moderne. Ma non si può spiegare quella dimensione che non si vede nella foto, che non si può toccare e descrivere con gli occhi dal vivo. Tutto quello che si sente. Si possono avere 300 foto meravigliose ma manca quella cosa che non puoi toccare. Anche se fosse solo per questo, meriterebbero di sparire. Io credo che tutti i popoli hanno bisogno di una possibilità ma ad un certo punto bisogna guadagnarsela.

Parliamo dei suoi progetti futuri. Sappiamo del contatto creativo che c’è stato e c’è con l’architetto di Foligno Luccioni…avendo l’onore di vedere il modellino della sua prossima opera.

Stiamo andando avanti nella realizzazione di una struttura architettonica e artistica a Todi molto lentamente, perché è complesso. Ho 92 anni. Ma stiamo facendo in modo di avere tutto il progetto e le carte per la realizzazione. Ho parlato di “accidenti divini”, quindi non posso programmare molto. Ma finiremo. Ne ho molti altri, sto lavorando anche ad altri progetti, di cui posso solo dire che uno non è in Italia. La fortuna nella vita è anche voler sempre fare e non smettere mai di impegnarsi in ciò che si fa. E io sono dentro tutto questo.

Com’è stato essere moglie di un giornalista importante come suo marito?

Molto divertente quando andava bene. Scherzi a parte, ho dei bellissimi ricordi. Abbiamo portato molte cose l’uno all’altra nel nostro matrimonio. E questo ha dato al tutto un’altra dimensione. La fortuna più grande è avere e condividere due mondi completamente differenti. E certamente noi eravamo completamente opposti. Lui era romantico, io no. Con i nostri figli continua questo scambio. Ci arricchiamo con le nostre menti. Siamo una famiglia di artisti. Almeno, da fuori!

Lei nella sua vita ha sempre lavorato i metalli. A 92 anni, la vita, cosa ha insegnato a Beverly Pepper? Che tutto si può modificare?

Nella vita si sceglie non quello che si può fare ma quello che si vuole fare. Si deve tirar fuori sempre il meglio di se. E questo è molto importante.

 

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