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Pozzo d’acqua calda, costituito il gruppo di lavoro

Pubblicato il 24 Dicembre 2015 09:29 - Modificato il 5 Settembre 2023 22:04

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Il pozzo di acqua calda di San Martino in Trignano finisce sotto la lente di un gruppo di lavoro di cui fanno parte integrante esperti di enti diversi. Con la Protezione civile di Spoleto che fungerà da coordinatore, così come avrà il compito della raccolta dei dati delle analisi e ricerche, ci saranno infatti i tecnici della direzione Cut del Comune di Spoleto, dell’Arpa Umbria, del servizio regionale della Protezione civile e del servizio geologico e sismico dell’Umbria. Così come quelli della Usl 2, del Corpo Forestale dello Stato, della Valle Umbria Servizi, dell’Ingv, dell’Università di Perugia-Dipartimento di Fisica e Geologia e del comando dei Vigili del fuoco di Perugia. Quella di formare un vero e proprio gruppo di lavoro ad hoc, nasce dalla “necessità di formalizzare le ricerche della dottoressa Fedora Quattrocchi attraverso una convenzione con Ingv per il monitoraggio e la ricerca – è scritto in una determina comunale che ufficializza la costituzione di questo nuovo organismo – e anche la necessità di collaborare fra tutti gli enti e i soggetti concorrenti per le attività di monitoraggio e ricerca secondo le proprie competenze e professionalità”. Ma non solo. Il nuovo gruppo di lavoro, infatti, avrà l’opportunità di collaborare anche con “tutti gli uffici comunali per le attività di monitoraggio e studio del fenomeno – prosegue la determina – e di promuovere, attraverso gli uffici comunali competenti, le dovute informazioni rispetto alla situazione e all’evolversi della stessa”. Dai dati tecnici comunicati nel corso del summit dell’11 dicembre scorso alla sede della Protezione civile di Spoleto, è emerso che le analisi effettuate da Arpa Umbria per i prelievi del 6 dicembre “l’acqua captata a 6-7 metri di profondità la temperatura risultava essere di 34 gradi e a 12 metri di 30 gradi – cita testualmente il documento – sono presenti concentrazioni di inquinanti da nitriti probabilmente per l’uso agricolo dei terreni intorno, le concentrazioni di metalli non mostrano anomali e, anche Ph e conducibilità elettrica sono nella norma. Per gli altri pozzi analizzati la temperatura risultava intorno ai 14-15 gradi”. Da quello stesso tavolo tecnico, Andrea Motti della Regione Umbria ha informato i presenti che “il monitoraggio sismico della rete sismica regionale, indica che dall’inizio dell’anno non vi è sismicità strumentale nell’area in oggetto”. La stessa relazione tecnica dice che la zona di San Martino in Trignano è caratterizzata da depositi alluvionali recenti (ghiaie sabbiose), è presente una falda freatica superficiale con direzione del flusso da nord ovest verso sud est dove “sono presenti depositi alluvionali più antichi dove si trovano dei banchi e lenti di lignite in passato oggetto di coltivazione mineraria. La stessa carta geologica indica delle zone in cui vi sono stati fenomeni di autocombustione delle ligniti”. Inoltre, a seguito dei prelievi effettuati da Arpa Umbria proprio in data 11 dicembre, quando la temperatura dell’acqua era già scesa a 35 gradi, la dottoressa Quattrocchi di Ingv comunicava che “le acque riscaldate sono pertinenti ad una falda piccola e poco profonda – ha spiegato – poco salina a cui non arrivano geogas acidi o riducenti (CO2 anidrite carbonica e H2S acido solfidrico) in maniera vistosa. Si sta studiando se il fenomeno transiente è connesso a microfratturazione che fa ossidare la lignite/torba sottostante, solitamente non imbibita e quindi priva di reazioni esotermiche (che producono calore)”. Inoltre ha dichiarato che i dati attualmente raccolti “non sono sufficienti ad avere un quadro preciso dell’area coinvolta dal fenomeno – ha concluso – e che quindi dovrà essere definito un monitoraggio più esteso sia in termini temporali che areali”. Da qui la decisione di costituire un gruppo di lavoro competente in materia.

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