Domani, domenica 24 gennaio, Foligno si preparerà a festeggiare il suo patrono, San Feliciano. Per l’occasione, Radio Gente Umbra ha voluto intervistare il vescovo folignate Gualtiero Sigismondi. La trasmissione andrà in onda alle 10.40 di domenica 24 gennaio, poco prima della diretta radiofonica in onda sulle frequenze dell’emittente. Nell’intervista realizzata dal direttore Alberto Scattolini, monsignor Sigismondi parla a 360° di questioni locali e non. In anteprima per Rgunotizie.it, ecco quello che dirà domani il vescovo di Foligno in radio.
Eccellenza, quella del 24 gennaio è una ricorrenza speciale per Foligno…
Si, in città è festa grande per San Feliciano. Anche attraverso le frequenze della radio voglio trasmettere l’entusiasmo che si respira all’ombra della Cattedrale. La festa quest’anno è resa particolarmente solenne dal patriarca dei maroniti. Verrà qui perché da tempo immemore Foligno conserva le reliquie di San Marone, patrono della chiesa libanese. Per noi sarà l’occasione di stabilire un rapporto con questa Chiesa, che al momento è uno spazio di accoglienza per i siriani. Il Libano è da sempre terra di accoglienza, dove cristiani e musulmani hanno vissuto insieme.
Come vede la sua diocesi San Feliciano?
Lo dico con un’immagine che ho pensato anche rivangando i sette anni e quindi le sette feste che ho vissuto qui a Foligno. Sulla piazza i folignati si riconoscono cittadini, in cattedrale si riconoscono fratelli, ovvero figli dello stesso padre di famiglia, San Feliciano. Lo riconoscono tutti, anche coloro che fanno più fatica a varcare la soglia di una chiesa. E’ bello vedere che nessuno dimentica che Feliciano è il fondatore della città.
I fedeli cosa le chiedono di dire a San Feliciano?
Di asciugare un po’ di lacrime. Quelle che più mi impressionano sono quelle che riguardano la perdita di lavoro da parte di persone che hanno più o meno la mia età, ovvero 50 anni. Quelle sono lacrime inconsolabili. A San Feliciano chiedo di benedire quegli imprenditori che in questi anni non ci hanno fatto sentire la crisi, continuando a gestire le loro aziende senza tagliare posti di lavoro. La disoccupazione è un’umiliazione personale ed un grosso pericolo per la stabilità della famiglia.
E alla politica cosa chiederebbe?
Non dimenticare che la famiglia resta la cellula fondamentale della società, non solo della chiesa. E’ sotto gli occhi di tutti che lo sfascio di questa società è dato dall’aver toccato la stabilità della famiglia. O si fa quadrato sulla famiglia nel rispetto delle varie posizioni, oppure saremmo condannati a vedere il precipitarsi di una situazione già in rovina. Rischiamo un degrado inarrestabile.
“Non confondere il matrimonio di Dio con le unioni civili”, in sostanza è quello che ha detto papa Francesco…
Quello che occorre sottolineare è che ai figli bisogna garantire una crescita tutelata da un padre e da una madre, da un uomo e una donna. Questo fa parte della struttura genetica dell’uomo, non possiamo permettere che la crescita sia insidiata da questa brutta moda che si vorrebbe imporre. E’ un attentato alla crescita morale. So quale sofferenza si produce nel cuore di un adolescente quando deve vivere in una famiglia in cui regna la divisione. Figurarsi se devono crescere in un ambiente in cui non c’è l’armonia educativa che possono garantire un padre e una madre.
Torniamo a Foligno e alla sua diocesi. In questi giorni si è parlato tanto della chiesa di San Paolo, il così detto cubo di Fuksas. Molte polemiche sono state fatte perché considerata fredda, con i fedeli che si sono lamentati perché impossibilitati dal seguire le messe (leggi qui). La vicenda ha fatto molto scalpore anche a livello mediatico. Lei non è mai entrato nel merito della questione…vuole farlo ora?
Si, volentieri attraverso la radio. Anzitutto, voglio rendere grazie al Signore perché chi mi ha preceduto ha avuto l’intuizione di costruire una chiesa. La Cei poi ha voluto che a firmarla fosse un grande architetto. Lo conosciamo ed ho avuto modo di incontrarlo. Ricordo le lacrime nel giorno della Dedicazione, quando anche lui ha sperimentato che la liturgia ha una sua architettura. Questa chiesa presenta delle difficoltà, come qualsiasi chiesa antica e moderna. La criticità del freddo la stiamo affrontando con nuove soluzioni. Non sono mai voluto entrare nell’arena mediatica perché mi piace scendere in campo con iniziative concrete. La diocesi si farà carico della spesa che comporta una nuova sistemazione per tentare di riscaldarla un po’ più e un po’ meglio. Per poter risolvere questo problema ci sono delle difficoltà a livello strutturale ed altre legate al fatto che, essendo firmata da un grande architetto, prima di fare delle modifiche bisogna avere il suo consenso. Cosa che non possiamo né presupporre né pretendere. La partecipazione della diocesi c’è tutta. Riconosciamo l’importanza di questo edificio, sopratutto quello che significa a livello pastorale, attorno al quale si concentrano diverse comunità parrocchiali. Vanno quindi sostenuti i parroci a continuare l’opera che da anni stanno portando avanti. Né il freddo né il caldo ci impediranno di scrivere una pagina bella di vita pastorale.
Torniamo al patrono San Feliciano. Su cosa è incentrata la sua omelia?
Quest’anno l’attenzione si concentra su due parole: fervore e ardore. Che cosa mi impressiona di San Feliciano? Il fervore e l’ardore con cui ha testimoniato il Vangelo e che sono giunti fino al dono della propria vita. Ma che differenza c’è tra queste due parole? Sono due dimensioni complementari, necessarie per esprimere la nostra fede. Il fervore riguarda la fede e l’ardore riguarda la carità. Il fervore dice la liturgia, deve essere sempre collegato all’umiltà, altrimenti sarebbe superbia. E’ inoltre quella dimensione spirituale che esprime l’entusiasmo con cui si fanno le cose, la gioiosa agilità con cui si serve il Vangelo. C’è maggior fervore nel testimoniare il Vangelo, siamo tutti un po’ troppo tiepidi. Nel libro dell’Apocalisse troviamo all’inizio un rilievo fatto ad una delle chiese, definita troppo tiepida. L’autore la definisce né fredda e né calda. San Feliciano ci ricorda che non possiamo permetterci il lusso di essere tiepidi né come Chiesa ne come società civile. La tiepidezza è segno di mancanza di entusiasmo, ovvero di fervore e ardore.
Il suo saluto alla città…
Più fervorosa e ardimentosa in tutto quello che è chiamata a fare. Guardando al capofamiglia, non temere di camminare lungo la strada del fervore e dell’ardore, ovvero di uno slancio agile, sincero e gioioso.