Tutte le acque potabili contengono sali minerali, ma la legge riserva lo specifico termine di “acqua minerale” per l’acqua già sana alla sorgente, dove avviene l’imbottigliamento senza dover usare i trattamenti di risanamento che invece riguarda la comune acqua di rubinetto.
Non basta bere a sufficienza ma bisogna sapersi orientare fra le tante marche di acqua disponibili in Italia per utilizzarne, al meglio, le diverse particolarità chimico-fisiche, infatti, non può esistere un’acqua ideale per tutti. Il più utile indicatore di classificazione di un’acqua confezionata è rappresentato dal “residuo fisso”: ovvero la quantità di minerali ricavabile da un litro di acqua dopo evaporazione e riscaldamento a 180°
Se il valore ottenuto si attesta al disotto di 50 mg/l si parla di acqua “minimamente mineralizzata”, per lo più di prescrizione medico-specialistica per alcune patologie renali.
Quando il residuo è compreso fra 50 e 500 mg/l l’acqua viene definita “oligominerale” ed è in questa fascia, peraltro molto ampia dal punto di vista delle indicazioni mediche, che rientrano le acque di più diffusa utilizzazione in Italia (circa il 65% delle acque minerali in commercio).
Le acque “medio-minerali” invece hanno un residuo fisso fra 500-1500 mg/l ed hanno una ricchezza particolare di alcuni anioni o cationi che ne rendono consigliabile l’utilizzo in particolari situazioni, come si verifica per alcune acque particolarmente ricche di calcio e quindi consigliate per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi.
Oltre 1500mg/l di residuo le acque sono definite “ricche di sali minerali”. Si tratta per lo più, di acque prescritte da medici specialisti nel corso di specifici trattamenti (stipsi, epato-colecitopatie, ecc), in quanto dotate di capacità medicamentose ma anche di effetti collaterali.
Il nostro metabolismo dell’acqua è legato a quello delle sostanze minerali che vi sono disciolte, ad esempio gli ioni sodio, cloro e potassio. Il sodio è certamente il fattore più importante nella regolazione dei liquidi extracellulari, cosi come il potassio lo è per i liquidi intracellulari.
Una delle raccomandazioni più forti delle linee-guida alimentari riguarda l’invito a ridurre il consumo giornaliero di sodio. Il sodio contenuto negli alimenti, sia presente naturalmente, sia derivato dalle tecniche alimentari, è definito sodio “non discrezionale” e si presume che in Italia costituisca il 54% dell’assunzione totale.
Il sodio “discrezionale” quello aggiunto in cottura o a tavola, rappresenta circa il 30% del totale, ed è verosimile che almeno il 10% derivi dal sodio naturalmente presente in alcuni alimenti ma in particolare nell’acqua ed in altre bevande. È coerente quindi che per ottemperare al messaggio salutista delle linee-guida (il sale? Meglio poco) si privilegi la scelta di un acqua da bere povera di sodio (meno di 50mg/l).
Per chi deve seguire una dieta iposodica, l’acqua a basso contenuto di sodio diventa praticamente una scelta obbligata, ma attenzione, può non essere altrettanto ideale per uno sportivo impegnato a reintegrare i sali perduti con l’eccesso di sudorazione.
Dobbiamo anche dire che anche la presenza di calcio può diventare di scelta preferenziale, ma in sostanza la scelta più frequente e condivisibile, per la maggior parte della popolazione sana, è rivolta alle acque oligominerali.
Rubrica a cura del dr. Leonardo Mercuri, dietista A.N.D.I.D.