“Ogni organismo, non importa quanto semplice o complesso, ha attorno a sé una sacra bolla di spazio, un po’ di territorialità mobile a cui solo pochi altri organismi sono autorizzati a penetrare e quindi solo per brevi periodi di tempo”. Edward Twitchell Hall
Che cosa è un 1 metro?
Questa misura può sembrare banale, ma oggi nel tempo del covid-19 è la costante con cui ci dovremo tutti confrontare…se non lo stiamo già facendo
A causa dell’emergenza Covid molti governi, tra cui anche quello italiano, hanno emanato alcuni provvedimenti per stabilire delle nuove “norme prossemiche” che includono la distanza minima di un metro tra le persone, al fine di evitare il contatto fisico, i luoghi affollati ecc.
Prima del Covid un abbraccio poteva essere un segno pacificatore, con una stretta di mano si conquistava la fiducia, con alcuni gesti si eliminavano incidenti comunicativi e fraintendimenti, e se prima ogni cultura assegnava una propria distanza all’intimità, agli amici o ai semplici colleghi di lavoro, ora il virus ha livellato queste distanze, eliminando di fatto un anello fondamentale che è la distanza dell’amicizia.
Questo anello può sembrare banale per i popoli anglosassoni, già abituati per loro cultura a mantenere distanze rigide, senza abbracci o altri segni di affetto, con il limite di una fugace stretta di mano.
Ma noi Italiani siamo il popolo dei gesticolatori, quelli che si scambiano pacche sulle spalle mentre parlano, quelli che se incontrano un amico gli buttano le braccia al collo e lo baciano senza dover chiedere nulla, siamo quelli che ti devono toccare per forza quando parlano, siamo quelle amiche che camminano costantemente mano nella mano, siamo quelli che per salutarti ti lasciano un ematoma sulla spalla, siamo fatti cosi, ed è per questo che sarà molto più difficile riuscire a rispettare le regole del cosiddetto “distanziamento sociale”, solo la parola “distanziamento” a noi ci rende tristi.
Si è vero, le politiche sul contrasto al covid-19 ci impongono questa distanza, ma questo inizierà a scontrarsi con i nostri sentimenti, con il nostro essere espansivi, in pratica con il nostro essere latini. Assistiamo quasi giornalmente a trasmissioni che ci palesano scenari catastrofici, subiamo Dpcm che ci rendono orfani dei nostri sensi togliendoci gli affetti, e la familiarità, eppure dobbiamo farlo perché è la giusta distanza per evitare il contagio, ma non senza conseguenze, questo ci rende più soli e ci fa scoprire quanto siamo fragili.
Ma adesso che non possiamo più esprimerci con i linguaggi a cui eravamo abituati, cosa facciamo? Nulla di particolare, occorre solo riorganizzarci.
Questa pandemia ci mette di fronte ad una nuova sfida, dobbiamo forzatamente sperimentare, trovare nuovi modi di relazionarsi senza lo spazio, rielaborare le nostre cognizioni culturali, e questo deve avvenire non solo grazie all’aiuto della tecnologia, la sfida sta nel trovare un nuovo linguaggio, e per fare questo bisogna abbattere tutti gli stereotipi che questa ricerca ci porrà difronte.
Non ho nessun dubbio sul fatto che queste difficoltà per noi saranno ottime maestre, sono sfide dolorose è vero, ma ci spingono verso un cambiamento che da soli non avremmo mai fatto, ci mettono di fronte a nuovi modi comunicativi, ci rendono più permeabili alle novità, ci fanno sperimentare nuovi linguaggi, e ci stanno regalano nuovi ed innovativi metodi di lavoro. Guardiamoci intorno ed eliminando ogni pregiudizio: ora abbiamo medici che aiutano pazienti a distanza, giovani maestre che si confrontano con piattaforme online, ed esperti impiegati che armeggiano con documenti aziendali dal divano di casa come se non fossero mai usciti dal loro ufficio.
Questo isolamento sociale dobbiamo viverlo come un’opportunità, abbiamo riscoperto le cucine dei nostri genitori, abbiamo capito come parlare ai nostri figli, siamo diventati esperti fornai, abbiamo guardato dentro noi stessi, abbiamo scoperto quanto la libertà che ci sembrava cosi scontata, sia invece un regalo tanto fragile quanto indifeso.
È vero…non c’è nulla che sopperisca all’abbraccio dei nostri nonni, o dei nostri nipoti, tutti questi gesti sono “parole” meravigliose di un linguaggio umano ed universale che nessun altro metodo comunicativo potrà mai eguagliare.
Ma sono convinto che questa esperienza, se ben assimilata, potrà avvicinare ancora di più le persone, ora che siamo distanti possiamo notare quanto poco tempo dedicavamo agli altri, quanta poco spazio davamo ai nostri figli mentre ci raccontavano le loro giornate, quanta poca attenzione mettevamo a tutto ciò che ci circondava, amici compresi.
Ora questo mostro biologico ci ha costretto ad alzare delle barricate dove prima c’era un abbraccio, una carezza, o un semplice saluto, ci ha rubato quello spazio dove noi facevamo entrare amore ed affetto, sostituendolo con paura e diffidenza.
Ma non disperiamo, il nostro cervello è una macchina meravigliosa, anni di evoluzione ci hanno esposto a cambiamenti importanti, non sappiamo come, non sappiamo quando, ma sicuramente torneremo ad abbracciarci per connettere le nostre menti ai nostri corpi, ricostruendo quella meravigliosa macchina sociale chiamata umanità.