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Corruzione, nei guai due dipendenti dell’Agenzia delle Entrate provinciale

Pubblicato il 19 Gennaio 2023 11:06 - Modificato il 5 Settembre 2023 10:17

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Arresti domiciliari per un dipendente dell’Ufficio provinciale dell’Agenzia delle Entrate, otto mesi di sospensione ad un suo collega e divieto di esercitare, per dodici mesi, la libera professione nei confronti di un perito agrario. Ad essere contestati dalla Procura di Perugia sono i reati di corruzione e accesso abusivo ai sistemi informatici. L’ordinanza del gip del tribunale di Perugia è stata eseguita dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza. Complessivamente, l’indagine riguarda 18 persone. Oltre ai tre indagati, si sta approfondendo la posizione di altre persone he avrebbero ottenuto favori dai due dipendenti dell’Agenzia delle Entrate. I reati contestati, a vario titolo, sono corruzione per l’esercizio della funzione (318 cp), corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (319 cp), istigazione alla corruzione (322, comma 3 cp) e accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (615-ter cp). “Gli accertamenti eseguiti dalle Fiamme gialle hanno preso avvio da precise e dettagliate denunce anonime e, dopo numerosi e approfonditi riscontri anche documentali che avevano fatto emergere elementi dimostrativi di pratiche corruttive – spiega il procuratore Raffaele Cantone – sono state effettuate intercettazioni telefoniche, che sono risultate, ancora una volta, assolutamente determinanti per l’esito positivo delle indagini”. Le intercettazioni poi sono state supportate da accertamenti bancari, da verifiche dei sistemi informatici dell’Agenzia del Territorio, attività svolte grazie alla piena e leale collaborazione della Direzione centrale Audit dell’Agenzia delle Entrate. “Gli accerlamenti – scrive il procuratore perugino – hanno consentito di acquisire gravi indizi di un sistematico svolgimento, da parte di un dipendente dell’ex Ufficio del Catasto di Perugia, destinatario della misura cautelare, di attività parallelc a quella istituzionale di pertinenza, sovente intersecantesi con la stessa, e consistenti nella redazione di atti di aggiornamento catastale, nella effettuazione di visure e redazione di planimetrie, per le quali venivano richieste crogazioni economiche”. I “beneficiari” di tali condotte, oltre che privati cittadini, sono anche professionisti che si rivolgevano all’indagato principale per fruire di servizi che, se perseguiti per le vie lecite, avrebbero avuto maggiore durata ed esito incerto. Le prove raccolte hanno portato dunque a gravi indizi dell’esistenza di quello che sembrava essere un sistema consolidato e parallelo di “evasione” di pratiche catastali di vario genere da parte del dipendente pubblico che, avvalendosi delle risorse e degli strumenti dell’ente di appartenenza, con la collaborazione di un collega e sfruttando l’abilitazione professionale del coniuge, “avrebbe asservito il proprio pubblico ufficio – sottolinea Raffaele Cantone – a fini privatistici e personali”. 

IL MODUS OPERANDI – L’attività illecita si articolava in modo variegato a sconda delie esigenze di volta in volta rappresentate. Una delle modalità, è spiegato dalla Procura della Repubblica di Perugia, consisteva nel far si che il principale indagato provvedesse a redigere la documentazione che veniva solo formalmente e fittiziamente fatta risultare riferita al professionista raggiunto da misura interdittiva, privo, tra l’altro, di specifiche competenze in materia catastale. Quest’ultimo poi, emetteva regolare fattura per la prestazione resa a fronte del compenso pattuito, occultando in tal modo quello che, secondo le acquisizioni investigative, appare essere l’utilità dell’attività corruttiva. Il conferimento dell’incarico al professionista compiacente, su segnalazione dello stesso indagato principale, faceva si che, grazie alla posizione ricoperta all’interno dell’Agenzia da quest’ultimo, non solo fosse possibile l’accesso in totate autonomia ad informazioni, alti e documenti, sia essi presenti nelle banche dati informatiche che nell’archivio cartaceo, ma garantiva un sollecito e positivo esito della pratica (che seppure non direttamente trattata dal principale indagato per ragioni di incompatibilità veniva comunque da questi “orientata” tramite interventi sui colleghi). 

È, altresi, emerso che il dipendente, dietro remunerazione, si sarcbbe prestato a fornire a professionisti e consulenti informazioni “extra ordinem” a cui aveva accesso in ragione del proprio ufficio, in esecuzione di accordi illeciti, avvalendosi, in taluni casi, del consapevole supporto di un altro collega d’ufficio, nonché creando una “corsia preferenziale” a favore dei predetti al fine di agevolarli nel loro lavoro, abbreviando i termini procedurali e riducendo il rischio di rigetto delle pratiche. In questi casi, il vantaggio si sarebbe concretizzato nella percezione di un compenso in denaro o di altre utilità (quali, ad esempio, prestazioni professionali in suo favore).

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