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Venti anni di carcere per Armeni, la difesa: “Ricorreremo in appello”

Pubblicato il 19 Luglio 2016 13:52 - Modificato il 5 Settembre 2023 19:46

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Venti anni ad Emanuele Armeni, il carabiniere che il 16 maggio scorso uccise nel parcheggio della caserma di Foligno il collega Emanuele Lucentini. Questa la decisione del gup Margherita Amodeo, che si è pronunciata nel tardo pomeriggio di lunedì dopo un intensa giornata di discussioni. Per Armeni è stata esclusa la premeditazione ed il fatto che ad essere ucciso sia stato un pubblico ufficiale. Il gup ha inoltre stanziato alcune provvisionali ai familiari della vittima: 200mila euro alla vedova di Lucentini, 100mila euro ai genitori e 70mila alla sorella. Al termine della sentenza di primo grado sono arrivati anche i commenti. “Leggeremo le motivazioni della sentenza e poi decideremo cosa fare. La stessa riflessione è stata fatta dal procuratore col quale ho parlato – afferma l’avvocato Giuseppe Berellini, che insieme alla collega Maria Antonietta Belluccini difendono la famiglia Lucentini -. La parola spetta al giudice che entro novanta giorni redigerà la motivazione, spiegando quello che è stato il processo logico che ha seguito per arrivare alla condanna. Ha escluso la premeditazione e l’aggravante connessa alla qualifica di pubblico ufficiale della vittima con una certa sorpresa per noi”. A parlare è stata anche Stefania Leonardi, moglie del carabiniere ucciso: “Speravo che il giudice tenesse conto della premeditazione, perché comunque anche se gli fosse balenata per dieci secondi l’idea di uccidere mio marito, sarebbero comunque un omicidio premeditato. Sarei stata più contenta se gli fosse stato dato qualche anno in più”. Pronti a ricorrere in appello i legali di Emanuele Armeni, ovvero Michele Montesoro e Margherita Piccardi: “Siamo ancora al primo grado di giudizio. Vediamo come motiverà la sentenza il giudice – afferma Montesoro all’uscita dall’aula -. Sulla base della sua motivazione coltiveremo l’appello che comunque ci sarebbe stato in ogni caso. Per noi non è una vittoria e una sconfitta. Il mio assistito – conclude – è provato da quanto avvenuto e dalla sentenza. Ha manifestato il suo dispiacere nei confronti della famiglia Lucentini, ma è anche consapevole di aver rovinato la sua”.

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