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Umbria, la ricetta della Cisl contro crisi e spopolamento: “Serve il reddito di transizione”

Pubblicato il 9 Ottobre 2018 13:49 - Modificato il 5 Settembre 2023 15:35

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Una popolazione sempre più vecchia, un’emorragia di giovani che non tende a diminuire e la mancanza di vere opportunità lavorative. C’è tutto questo e tanto altro tra i mali che affliggono l’Umbria. A dirlo è Ulderico Sbarra, segretario generale regionale della Cisl, intervenuto ai microfoni di Radio Gente Umbra per parlare di economia, occupazione e rilancio del Cuore verde d’Italia. Una regione, l’Umbria, che per Sbarra è affetta da un “male oscuro” che può essere guarito solo con l’impegno di tutti: dal mondo imprenditoriale a quello istituzionale, mettendo in pratica politiche serie sul tema del lavoro ed iniziando a dialogare con i territori che la circondano per eliminare l’annosa questione dell’isolamento. Ecco un estratto dell’intervista rilasciata da Sbarra ai microfoni di Rgu.

Qual è lo stato di salute della nostra regione?

Nella crisi, che definirei più che altro una lunga recessione che riguarda tutto l’Occidente, l’Umbria ha sofferto più degli altri. In particolare, di più rispetto a quelle realtà con le quali siamo direttamente paragonabili, nello specifico le Marche e la Toscana. L’Umbria ha un male oscuro. Da più di dieci anni produzione, consumi, reddito, occupazione e qualità dell’occupazione sono andati peggiorando con una linea discendente continua. Soffriamo ancora e i dati più eclatanti riguardano il Pil. In dieci anni abbiamo perso molto più di altre regioni. Al momento l’Abruzzo, prima regione del Sud, produce più prodotto interno di noi: è chiaro che dobbiamo porci qualche domanda.

Cosa fare dunque per migliorare le cose?

Dobbiamo innanzitutto capire qual è il male oscuro che affligge l’Umbria. In questi anni si è prima negato e poi nascosto l’andamento negativo della nostra regione. Sono tre i macro indicatori che andrebbero tenuti strettamente connessi e presi in considerazione: intanto che l’Umbria appare piccola ed isolata, ma soprattutto che l’Umbria si sta invecchiando rapidamente con un tasso del 196%. Ci sono poi moltissimi giovani tra i 25 e 45 anni, circa 10mila, che negli ultimi quattro anni se ne sono andati. Tutto ciò porta al fenomeno dello spopolamento, soprattutto nelle realtà sotto ai 5mila abitanti. Tutti questi fattori hanno fatto accendere una spia rossa, ma se vogliamo essere più concreti, direi che il ramo dove siamo seduti già è stato segato.

Come si inserisce in tutto questo contesto l’annoso problema dell’isolamento a livello di trasporti e connessioni?

Le nuove tecnologie potrebbero aiutare sul fronte dell’isolamento per ripristinare forme di lavoro ed occupazione. In questi termini abbiamo un problema: sull’immateriale siamo molto indietro. Oggi però c’è anche un fatto nuovo. Per la prima volta in Umbria c’è uno sviluppo orizzontale legato alle nuove infrastrutture: con la futura Perugia-Ancona e l’attuale Ss77, le Marche e altre città sono più vicine. E’ per questo che è possibile ripensare porti, aeroporti, piastre logistiche, e quant’altro. Ci vorrebbe il coraggio di una politica più attenta a questo sistema. L’Umbria è piccola, è per questo che serve un nuovo modello di sviluppo che vada oltre a quello del socialismo appenninico. I nostri 7-800mila abitanti ci fanno pensare che dobbiamo iniziare a ragionare in maniera più larga in termini di produzione, ricerca e occupazione. Dobbiamo creare territori attrattivi.

A proposito di territori. Nel Cuore verde d’Italia quelli che sembrano sentire di più la crisi sono lo spoletino e la fascia appenninica. Sono territori persi oppure è ancora possibile fare qualcosa?

In questi casi la crisi economica è andata oltre alle crisi industriali. Tante crisi industriali hanno creato una crisi territoriale, quindi ci dovrebbe essere un’attenzione nuova rispetto al fenomeno che si è creato. Il fatto che tutto ciò ha interessato una delle città più grandi della regione (Spoleto ndr) è particolarmente grave. La città Ducale sta soffrendo troppo da troppi anni senza una soluzione se non qualche viaggio della speranza al Mise. Servirebbe un impegno fortissimo, quindi una concentrazione forte a livello regionale per rimettere al centro le problematiche di questi territori. A concorre al problema è la scarsa rappresentatività a livello istituzionale che questi territori hanno avuto negli ultimi periodi.

Per Ulderico Sbarra la bellezza da sola non salverà l’Umbria, cosa significa?

C’è un particolare innamoramento rispetto al tema della bellezza che è importante per l’Umbria ed interessante da sviluppare, ma è comunque neutro. La mia preoccupazione è che parlando di bellezza si finisca con il non parlare più dei problemi veri. Posso assicurare che in Umbria le problematiche reali sono legate al lavoro di qualità, dignitoso e all’occupazione. Il modello di sviluppo dell’Umbria deve essere multiforme, composto da industria e manifattura di pregio, servizi avanzati e tradizionali. Poi ci sono un paio di ambiti per i giovani…

Quali sono?

Per esempio, nei settori tradizionali ci sono due grandi ambiti che possono frenare l’emorragia dei giovani. Come sindacato abbiamo proposto il reddito di transizione, che consiste nella possibilità di offrire ai giovani diplomati la possibilità di un lavoro nei settori dell’ambiente e del sociale di qualità, quindi non le attuali cooperative che si fanno dumping contrattuale sui costi. Al contempo, ai giovani devono essere offerti dei corsi di riqualificazione sulla loro core competition. A ciò dovrebbero contribuire sia la Regione che il sistema imprenditoriale.

Abbiamo parlato dei territori che in Umbria hanno risentito di più della crisi. Ce ne sono altri che invece sembra siano riusciti ad affrontarla meglio come il folignate…

Sul fronte degli investimenti e della crescita, Foligno ha avuto la fortuna di avere un nucleo di imprese che poi hanno fatto la differenza. Sono imprese posizionate sulla fascia alta della produzione e sul processo di innovazione e ricerca: tutto ciò ha fatto la differenza. Questo tipo di sistema ha retto meglio di altri, ma ciò non significa che la crisi non ha toccato Foligno. Inoltre credo che abbia influito anche un altro aspetto, che è quello morfologico. Le città umbre che soffrono meno lo spopolamento sono Città di Castello e Foligno: il fatto che siano realtà di pianura ha concorso quantomeno ad evitare lo spopolamento accelerato dei centri storici. Foligno ha poi speso bene i soldi della ricostruzione.

Parliamo proprio di ricostruzione. Quella post-sisma 2016 sembra sia partita a singhiozzo.

Siamo in attesa che la ricostruzione parta davvero. Abbiamo una preoccupazione su un aspetto, ovvero il Durc. In passato questo documento ha permesso di mettere in pratica una ricostruzione non solo di qualità, ma nella legalità e nella trasparenza. Il Durc, partito dall’Umbria, è diventato legge nazionale ed europea e fu frutto dell’accordo tra le parti sociali. Poi la grande recessione ha indebolito lo strumento, ma in Umbria e nelle Marche è rimasto il discorso della congruità che garantisce ancora qualità, trasparenza e sicurezza dei lavori. Ad oggi c’è la richiesta, da parte delle associazioni dei professionisti, di toglierlo anche per la ricostruzione: questa è una battaglia di qualità e civiltà che dovremmo fare per mantenere una norma che torni ad essere specifica, cantiere per cantiere.

L’intervista integrale a Ulderico Sbarra andrà in onda su Radio Gente Umbra martedì 9 ottobre 2018 al termine del giornaleradio delle 18.30

Fabio Luccioli
Fabio Luccioli
Direttore di Radio Gente Umbra e Gazzetta di Foligno

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