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La forza di un emblema

Pubblicato il 25 Agosto 2021 11:21 - Modificato il 5 Settembre 2023 11:55

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In questo giorno di tristi ricordi, voglio condividere con voi una lettera di un volontario della Croce Rossa di Roma, in modo da rendere onore a tutti quei volontari che con abnegazione e alto senso civico, quella notte si sono separati dalle loro famiglie per aiutare gente indifesa e colpita al cuore da una forza inaspettata…grazie a tutti di voi ragazzi, siete la nostra speranza di un mondo migliore.

24 Agosto 2016

Apro gli occhi. La sveglia non è ancora suonata. Le 3:36. Mi sembrava tremasse il letto. Forse un brutto sogno. Mi giro dall’altra parte.

Non faccio in tempo a prender sonno che il telefono inizia a squillare.

Accendo la tv.

Si fanno le 4. I programmi sono interrotti, passa solo il telegiornale straordinario: terremoto nel centro Italia.

Non era un sogno. Il letto tremava davvero.

Mi vesto con il telefono all’orecchio. Tutto si accelera.

Inizio a chiamare i Volontari del mio Comitato.

Hanno tutti il telefono acceso. Al secondo squillo rispondono. Tutti: “Si!”, “Sono pronto”, “Dove e a che ora”, “Il tempo di vestirmi”.

Alla domanda “Quanto staremo fuori?”, io rispondo: <<Boh>>.

I numeri scorrono sul display: una telefonata, una seconda, una terza, una quarta…

E’ presto, ma rispondono tutti. Tutti pronti con lo zaino in spalla in attesa di un segnale.

Seconda scossa.

Arrivo in Comitato.

Mi assicuro che tutti i mezzi abbiano rifornimento.

Coordino le squadre da qui, mi confronto con gli altri coordinatori.

Si istituisce la sala operativa locale, si lavorerà anche da quì. Passo le consegne.

Parto anch’io. Modulo ABZ pronto. Siamo in 3.

Il viaggio non è facile: i telefoni suonano senza pausa, la batteria è già al 20%; il cielo è ancora buio; non conosciamo lo scenario; arrivano poche e non belle informazioni.

Durante il tragitto: solo il silenzio dei pensieri, delle preoccupazioni, delle speranze.

In strada ci affiancano i mezzi dei colleghi: croce rossa, vigili del fuoco, protezione civile, carabinieri ecc.

Arriviamo che il sole ha appena sfiorato la terra. Vediamo un panorama decisamente diverso da quello aspettato. Le case sono ammassi di calce.

Le strade non sono rettilinee, forse non sono neanche più strade. Si fa fatica a raggiungere Amatrice. Siamo alle porte, ma non esiste un percorso agibile. Siamo obbligati ad altri 26 Km: vediamo la meta, ma non una via.

Amatrice è una grande cava in pietra esplosa.

Scendiamo dal mezzo, zaino in spalla, casco sulla testa, guanti in mano.

Ci organizziamo: ascoltiamo i primi arrivati sul posto. Ci dividiamo. Amatrice diventa una griglia, una scacchiera da riempire, e le pedine sono tutti i soccorritori.

Mi volto e vedo tante divise, tutte diverse, tanti colori ed emblemi. Tutti lì per un unico scopo, un unico aiuto.

Alcuni di noi soccorrono i feriti in strada, altri quelli sotto le macerie, altri ancora accolgono le prime vittime. Ci arrampichiamo su montagne di macerie e raggiungiamo i balconi. Le ambulanze si bloccano all’inizio della strada. L’aria si riempie delle direttive dei coordinatori, di richieste di aiuto, di pianti di bambini, dei sommessi singhiozzi degli adulti.

Il tempo scorre così, tra feriti e scosse.

Arrivano i rinforzi: 4 elicotteri volano sulle nostre teste. Nuove squadre prendono il nostro posto. La forza di volontà tiene in piedi noi Volontari…o forse è l’adrenalina. Si va avanti per ore. Benchè quì il tempo si sia fermato alle 3:36.

E un pensiero va all’Aquila: il campanile fermo alle 3:33.

Come uno schiaffo in pieno volto.

E mentre rientriamo al Centro Operativo di Comando vediamo di tutto.

Un’anziana siede difronte al parco, ha una fasciatura alla testa. Una sola scarpa ai piedi.

 

Accanto a lei un uomo con la testa tra le gambe. Si copre il volto.

Una mamma stringe tra le braccia una bambina: entrambe hanno lunghi capelli biondi.

Un ragazzo strappa una maglietta, si fascia la caviglia, un infermiere lo vede:

“Ciao, ti serve una mano?”, chiede.

“No no grazie, corri da qualcuno che ne ha veramente bisogno. Io sto bene”, risponde. Continuiamo la nostra strada. Sotto un albero rubiamo di passaggio la testimonianza di un padre: “Ho portato le mie bambine fuori, le ho messe davanti la nostra porta di casa dove era crollato il tetto del vicino, e poi sono tornato a prendere mia moglie. Stiamo tutti bene. Non abbiamo più niente ma abbiamo tutto”.

Più in là un volontario croce rossa sbatte i piedi a terra, una nuvola di polvere lo circonda: la divisa ha perso il suo colore originale, ormai grigio.

Poco più su vediamo scendere una squadra di vigili del fuoco: occhiali, mascherina, guanti, si infilano il casco e ci superano in corsa.

Siamo quasi arrivati.

Sotto le scale antincendio due volontari della protezione civile, impolverati, divisa bianca, sguardo vuoto, bevono un sorso d’acqua, una volontaria croce rossa offre loro un sorriso e un pacchetto di crakers.

Un gruppo di giovani si stringe in gruppo, un abbraccio infinito. Chi è corso via in pigiama, chi non era ancora rientrato in jeans, chi si è infilato di corsa una tuta, chi ha raccolto i capelli in una coda, chi ha fatto solo in tempo a prendere gli occhiali, chi ha in mano le chiavi di casa. Hanno tutti i volti rivolti verso il centro, sguardo basso. Si abbracciano e mormorano parole di supporto a chi non ne ha più.

Un grido di dolore interrompe i nostri pensieri. Non riusciamo a vedere da dove provenga. Ma era lì. Il grido di una donna, forse una madre, una moglie. 

Forse Amatrice stessa.

Luigi Volontario CRI Roma

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