Ha ancora senso pensare che la più classica delle formazioni jazz (piano, contrabbasso, batteria) abbia ancora qualcosa da dire nonostante la sua veneranda età? La risposta è sì. E bisogna aggiungere: grazie ragazzi di Young Jazz che avete portato i The Necks a Foligno (Auditorium San Domenico) per dimostrarcelo.
I Necks sono una band australiana di culto: ben 36 anni di carriera, difficili da inquadrare. Inclassificabili, sarebbe meglio dire. Sono un gruppo avantgarde, jazz, ambient e minimalista anche se nessuna di queste opzioni è l’unica giusta senza le altre. Una delle cose migliori che si può leggere in giro su di loro è che sono “un trio jazz solo se si specifica che hanno totalmente rivoluzionato l’idea del trio jazz”. Bill Evans, da lassù, sicuramente saprebbe riconoscere la forza e la purezza dell’interplay tra Chris Abraham (piano e organo), Tony Buck alla batteria e Lloyd Swanton al contrabbasso. Così come Esbjörn Svensson, anche lui da qualche parte su in alto, riuscirebbe a cogliere la potenza innovativa e sperimentale del trio australiano che pure è in circolazione da quasi quattro decenni, ovvero da molto prima dell’arrivo sulle scene del compianto pianista svedese. Tutto questo per dire che i The Necks sono qualcosa di incredibile, le loro performance live esperienze irripetibili. Uniche come loro. Tutto ciò potrà sembrare ridondante, eppure è esattamente quello che ha detto ognuno dei tantissimi (evviva!) spettatori che domenica 10 dicembre sono venuti a Foligno ad ascoltarli. Due set, molto lunghi, totalmente improvvisati. Sì, perché i The Necks prendono vagamente spunto da quello che hanno pubblicato (nel caso del concerto folignate l’ispirazione arriva dall’ultimo disco The Travel e mai nome fu più adeguato) e lo rimpastano dandogli nuova vita ed esplorando territori ulteriori. Ancora più lontani dei luoghi che raggiungono nei loro dischi. La dimensione della loro musica è libera; senza paradigmi, eppure con tutti i crismi dei generi di cui abbiamo parlato all’inizio. Questo loro muoversi nello spazio musicale per l’ascoltatore si traduce in un viaggio indefinibile e totalizzante. L’idea del tempo svanisce e ci si lascia condurre verso forme musicali conosciute eppure inesplorate.
Jazz? Minimalismo? Come detto all’inizio: tutto e niente di tutto ciò. Fortuna, quella sì, averli potuti ascoltare, vederli “giocare” coi loro strumenti, riempire il San Domenico di musica altissima. E fortuna avere ancora a che fare con Young Jazz, rassegna che dopo un certo silenzio è tornata a muovere passi importanti: due concerti “countdown” – con i “Deadeye” e appunto i The Necks – prima di arrivare al “Moult Festival” del 6 gennaio quando per un’intera giornata a Foligno arriveranno quattro progetti musicali per esplorare margini e confini di un genere, il jazz, che continua a regalare viaggi ed esplorazioni eccezionali.