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Marino Bartoletti: “Il ciclismo ama Foligno. Io? Torno a settembre”

Pubblicato il 17 Marzo 2019 08:11

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Ospite speciale di Radio Gente Umbra in occasione della 54esima edizione della Tirreno-Adriatico. Dopo la vittoria tricolore di Elia Viviani, a raggiungere gli studi di via Saffi è stato il giornalista sportivo Marino Bartoletti, in visita privata a Foligno. Intervistato, Bartoletti ha parlato a 360 gradi di sport: dal ciclismo al calcio, passando per la Formula 1, ma non solo. Ai microfoni di Radio Gente Umbra, il giornalista sportivo ha anche parlato della sua grande passione per la musica italiana e ha annunciato il suo ritorno a Foligno il prossimo mese di settembre, in occasione della quinta edizione della Francescana, la ciclostorica dell’Umbria del presidente Luca Radi, presente in studio.

Venerdì pomeriggio, a Foligno, l’arrivo della terza tappa della 54esima edizione della Tirreno-Adriatico. Un arrivo che ha visto un tricolore sventolare, quello di Elia Viviani. Marino Bartoletti che tappa è stata?

È stata la tappa che ci si aspettava. Sapevo che avrebbe vinto Viviani, non perché io abbia la sfera di cristallo ma perché puntava veramente a questa tappa, una delle due che poteva vincere in questa Tirreno-Adriatico. L’altra forse è Jesi. Come sempre si tratta di una corsa molto importante, prologo alla Sanremo e in qualche modo anche al Giro d’Italia. Quindi, stiamo vedendo il volo degli uccelli per capire quelli che saranno in forma e quelli che non lo saranno. E poi Foligno ama le due ruote e le due ruote amano Foligno. Perché, fra una cosa e l’altra, siamo sempre qui. 

Tu sei un grande appassionato di ciclismo, ma anche un grande appassionato dell’Umbria. Pochi mesi fa eri qui, sappiamo che tornerai e tra poco diremo anche il perchè. Intanto ricordiamo che hai curato un almanacco, a cui ne seguiranno altri, tutti dedicati allo sport e intitolati “I Bartoletti”. Quello di cui parliamo è il primo, parla di ciclismo e lo hai presentato negli scorsi giorni al Coni. Di cosa si tratta?

È un almanacco vero e proprio e fa parte di una nuova collana della Gianni Marchesini Editore, di cui lo stesso editore mi ha chiesto di essere il padre nobile, tant’è vero che tutti questi almanacchi si chiameranno “I Bartoletti”, con un pizzico di civetteria. Ma come ha detto il presidente del Coni – bontà sua – la mia presenza certifica la qualità del prodotto. L’almanacco è, per quanto mi riguarda, un libro di storia, perché sfogliandolo ti viene voglia di sapere se chi magari ha vinto una certa tappa l’aveva conquistata anche in passato. È vero che c’è internet, però avere qualcosa di palpabile fra le mani, di plastico fra le mani e che profuma di carta fra le mani è un’altra cosa.

Questo almanacco esce nell’anno in cui ricorre il centenario dalla nascita di Fausto Coppi. Quest’anno sono, inoltre, i 500 anni dalla morte di Leonardo Da Vinci. Due geni. 

Due grandi italiani. È un accostamento molto divertente, devo dire, perché a modo loro hanno unito un Paese, che nel caso di Leonardo non c’era ancora. Però il suo genio è rimasto, insieme a quello di Enzo Ferrari, il più esportato nel mondo fra i geni italici. Nel secondo dopoguerra quando neanche la Francia ebbe il coraggio di organizzare il Tour de France, l’Italia lo fece. Lo fece per dire: “Ragazzi, c’è qualcosa che ci affratella in questo macello”. Fausto Coppi vinse quel Giro d’Italia. Garibaldi nel 1861 aveva unito un Paese che non c’era, Fausto Coppi e Gino Bartali riunirono un Paese che non c’era più. Coppi vinse il Giro d’Italia del 1940. Arrivò a Milano il 9 giugno del 1940 e il giorno dopo il Capo del Governo ebbe la buona idea di entrare in guerra. Per sei anni l’Italia non esistette più e quel Giro d’Italia del 1946 li fece sentire tutti italiani, grazie anche a due signori che pedalavano.

A proposito di storia della bici, Marino Bartoletti tornerà a Foligno a settembre per la Francescana, la ciclostorica dell’Umbria del presidente Luca Radi, per presentare l’Almanacco. Intanto, però, Luca Radi, qualche anticipazione sulla prossima edizione?

Intanto ringrazio Marino Bartoletti che sarà con noi il 21 settembre prossimo per presentare l’Almanacco del ciclismo. E noi siamo felici, perché questa quinta edizione della Francescana sarà molto importante. Abbiamo già tanti iscritti da varie parti del mondo e possiamo dire che ormai è diventato un appuntamento importante nel panorama delle ciclostoriche italiane. L’anno scorso, tra l’altro, ci hanno eletto “Miglior ciclostorica d’Italia” e di questo siamo felici. E con Marino vivremo insieme un bellissimo pomeriggio dedicato alla storia del ciclismo. 

Bene, ringraziamo Luca Radi e torniamo da Marino Bartoletti per parlare ancora di sport. Poche ore fa c’è stata l’estrazione del prossimo turno di Champions League, i quarti di finale, e la Juventus ha pescato l’Ajax. Marino, come la vedi?

Ha pescato abbastanza bene. Diciamo che poteva andare peggio, come poteva andare meglio all’Ajax. È chiaro che da questo punto in poi non si deve più guardare il blasone degli avversari, perché se si vuole andare avanti è necessario fare un filetto di tre vittorie esattamente non con le ultime della classe. Se l’Ajax ha eliminato il Real Madrid, non lo ha fatto solo per aiuto divino, ma perché è tornata ad essere una squadra di rango, come lo è stata in passato. Però si tratta comunque una squadra di rango molto giovane, con tutto ciò che questo comporta, nel bene e nel male. Io penso che la Juventus, superata la grande paura di Madrid e il grande momento di autostima di Torino, a questo punto non debba aver timore più di nulla.  

Nei minuti seguenti alla gara della Juventus contro l’Atletico Madrid, hai sì celebrato la vittoria della Juventus, ma hai anche lanciato una carica alle altre italiane, l’Inter e il Napoli. Purtroppo, però, ai nerazzurri non è andata benissimo. 

Sì, sono rimaste le prime due della classe, la prima e la seconda, che ci rappresentano con le due coppe. L’Inter era impresentabile e, per la verità, lo è da un po’ di tempo, anche da un punto di vista societario. Non credo che sarebbe riuscito ad andare molto avanti, anche perché non si arriva a questo punto della stagione in queste condizioni morali e fisiche. Forse farà fatica a difendere il quarto posto – sperando che lo difenda – però siamo ben rappresentati. Il mio messaggio, per la verità, è: tifiamo Italia. È molto impopolare, perché vedo che qualcuno di testa dura c’è sempre, però io sono sempre stato coerente con questo messaggio e lo mantengo. Io trovo che in questo momento c’è gente che baratterebbe una sua vittoria con la sconfitta del rivale, e questo è veramente ai confini dell’incesto. Ho sentito una trasmissione importante a Napoli, pochi giorni fa, e i tifosi invece di pensare alla partita della loro squadra, soffrivano solo per la vittoria della Juventus. Ma così non si arriva da nessuna parte. Così si è perdenti. Quando il Napoli, e la storia lo dice, ha voluto guardare oltre le sue malinconie, un signore, un visionario ha comprato un tizio che si chiamava Diego Armando Maradona e invece di piangere ha vinto gli scudetti. 

Invece quest’anno che farà la Ferrari, piangerà ancora oppure no? Si ricomincia questo weekend dall’Australia, ma la Mercedes sembra già volare altissimo.

La Mercedes ha messo un ferma punti già dalle prove, mi pare. E adesso vedremo a che punto siamo, anche perché un conto sono le prove, un altro invece le gare. La Ferrari ha una bella squadra, una bella formazione e mi aspetto molto da Charles Leclerc. Sebastian Vettel deve stare molto attento perché, non dico che si sia ricreato il dualismo che c’è nella Honda con Lorenzo e Marquez, assemblaggio che per me è un assoluto autogol, però certamente non avrà un maggiordomo vicino a sé quest’anno.

Hai detto: “Tifiamo Italia”, quindi volevo chiudere con un’altra tua grande passione, quella per la musica e per il Festival di Sanremo. “Tifiamo Italia” è uno slogan che, forse, ha funzionato poco all’ultimo Festival. Siamo un po’ in mezzo al guado perché tra pochi mesi ci sarà l’EuroFestival e Mamhood dovrebbe rappresentare l’Italia. Come la vedi?

Io, come sai, sono sempre molto indulgente nei confronti del Festival. Poi, per me, il Festival inizia quando per gli altri invece è finito, nel senso che poi ci teniamo nel cuore non le classifiche ma quello che ci resta veramente dentro. È stato un bel Festival secondo me, perché ognuno di noi ha trovato una canzone in cui riconoscersi. Ho trovato molto sgradevoli alcune polemiche sul vincitore. Se ha vinto, ha vinto. Oltretutto in radio lui va benissimo, per cui è inutile fare polemiche assolutamente sterili. Poi sta a noi riconoscerci nel prodotto che Sanremo ci offre, è inutile che ci scanniamo. Lì non si assegna lo scudetto. Lì, c’è una proposta di canzoni che passano o meno alla storia e restano o meno nel cuore a seconda di quello che il nostro cuore è pronto ad accogliere. 

Fabio Luccioli
Fabio Luccioli
Direttore di Radio Gente Umbra e Gazzetta di Foligno

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