Valentina Silvestrini è l’architetto folignate che lo scorso fine settimana ha vissuto, insieme ad alcuni suoi amici (tutti umbri), degli attimi terribili in Nepal. Una scossa di magnitudo 7.9 della scala Richter che in pochi istanti ha portato morte e devastazione. Dopo aver anticipato lunedì mattina la sua esperienza, la nostra redazione è riuscita a contattarla. Ecco la storia di Valentina Silvestrini ed il suo racconto che abbiamo deciso di pubblicare senza nessuna interruzione.
“Mio marito, io e una coppia di amici, siamo tutti umbri, il 25 aprile ci trovavamo a Patan, cittadina a distanza ridotta da Kathmandu. Amiamo l’Asia e abbiamo organizzato un viaggio zaino in spalla in India del Nord e Nepal secondo una formula che noi chiamiamo “Berrytour”: Patan era una delle ultime tappe del nostro soggiorno in Nepal. Miracolosamente al momento del terremoto eravamo in una piazza, dopo aver attraversato un dedalo di vicoli tra i quali si aprono, o forse è meglio dire aprivano, caratteristici templi hindu e stupa. Un gran numero di persone si è improvvisamente riversato nella piazza: la violenza e la durata del sisma ci hanno impressionato e ricordare quei momenti ci crea ancora paura e commozione. Grazie anche all’esperienza di Roberto Raspa nella protezione civile e di tutti noi, che operiamo nel volontariato nell’associazione Civilino, al termine del terremoto abbiamo compreso l’intensità dell’episodio. La polvere si alzava proprio dai vicoli appena percorsi, grida e rumore di crolli provenivano da ogni direzione. Abbiamo cercato di mantenerci lucidi e per prima cosa abbiamo inviato un sms ad un amico in Italia affinché avvisasse le nostre famiglie che pur avendo avvertito il terremoto eravamo salvi. Abbiamo pensato che il posto più sicuro potesse essere l’aeroporto di Kathmandu, unico luogo tra quelli che avevamo visto provvisto di un grande piazzale. Inoltre, circa 24 ore dopo, saremmo dovuti ripartire per l’ India, per cui questa ci è sembrata la scelta più saggia, anziché rientrare nel centro di Kathmandu (dove avevamo prenotato una guest house e dove si trovavano i nostri bagagli), fatto di vie strette e potenzialmente più pericoloso. Quanto abbiamo visto lungo il tragitto da Patan all’aeroporto, raggiunto grazie ad un tassista che si è coraggiosamente messo a nostra disposizione, è fisso nella mia memoria. In molti tratti l’asfalto era divelto, si erano aperte in più punti profonde spaccature, la gente era tutta per strada, disposta lungo la riga di mezzeria, vari i crolli. In tempi relativamente brevi vista la grande confusione e varie scosse di assestamento, abbiamo raggiunto la nostra meta, l’aeroporto appunto, che sarebbe diventata la nostra ‘casa’ per le 36 ore successive. Nonostante l’iscrizione al portale “Dove siamo nel mondo”, non abbiamo ricevuto alcuna telefonata da parte della Farnesina dopo il drammatico evento. Il nostro punto di riferimento è stato un amico umbro residente a Roma. È stato lui, nell’assenza di informazioni in aeroporto, nella confusione generale sullo stato dei voli e tra scosse di assestamento di varia entità, a permetterci di restare calmi e soprattutto aggiornati, oltre a supportarci moralmente così come molte altre persone che ci hanno scritto o provato a chiamare. Il nostro amico ha avvisato la Farnesina del fatto che eravamo in salvo. Dal ministero non abbiamo ricevuto chiamate dirette, ma ci siamo comunque assicurati che avessero nostre notizie. L’aeroporto era al collasso, vista che la nostra scelta è stata condivisa da molti altri turisti che speravamo, come noi, di poter partire il più presto possibile. Il personale ha cercato di fare il possibile, ma era evidente che la situazione era di una tale gravità ed emergenza da non riuscire ad essere adeguatamente coperta. Solo nella tarda serata di ieri, 26 aprile, siamo riusciti a partire per Delhi, lasciando però una parte del nostro cuore nel Nepal, un paese piccolo e delizioso, dallo spirito accogliente e gentile, nonostante grandi limiti a livello di infrastrutture e servizi. Acqua ed elettricità erano limitati già prima del terremoto, possiamo solo immaginare cosa stia accadendo ora. Temiamo di essere stati tra gli ultimi a poter apprezzare la bellezza delle architetture di mattoni rossi e legno intagliato, godendo dei ritmi lenti delle cittadine della Valle di Kathmandu, così densi di tradizioni e spiritualità. Rivedere le foto di quei giorni nella nostra fotocamera ci commuove e mette i brividi nello stesso tempo. Sono coscienti di essere stati fortunati. Abbiamo tutti vissuto il terremoto in Umbria, ma è molto difficile fare un confronto tra i due eventi: in questo ultimo caso la violenza del sisma, la non conoscenza della lingua nepali, dei luoghi e delle possibili vie di fuga, cui si aggiunge all’impossibilità di provvedere in autonomia ad allontanarci dal Paese, ci hanno reso molto più vulnerabili. Il nostro pensiero è tutto rivolto alla popolazione locale e cercheremo nel nostro piccolo di dare un contributo con la speranza di poter tornare ancora”.