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Dancity vs Umbria Jazz: le ragioni di una rinascita, i motivi di un declino

Pubblicato il 16 Luglio 2017 08:44 - Modificato il 5 Settembre 2023 17:01

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Sono giorni che mi ronza in testa un parallelo tra due festival musicali umbri: l’inarrivabile e storico Umbria Jazz e il “piccolo” e innovativo Dancity. Non starò qui a fare questioni di campanile, non c’entrano niente le due città che li ospitano e per sgombrare il campo ai fraintendimenti dirò subito che non mi interessa dire quale sia il migliore tra i due, quale che sia il peggiore. Anche perché si tratterebbe di un paragone inutile. Allora perché parlare di queste due realtà? Perché sono speculari e, soprattutto, rappresentano due esempi di quanto buono l’Umbria possa offrire. Iniziamo con le dolenti note, Umbria Jazz. Un festival che ha smarrito la sua anima mostrando al contempo una facciata stanca, un po’ boriosa, altezzosa e che comincia a mostrare i segni, vistosi, del tempo. Rughe. UJ è sicuramente l’evento più importante di questa regione insieme al Festival di Spoleto. Marchi che danno lustro all’Umbria in tutto il mondo. Però qualcosa si è inceppato nel caso del festival del jazz. I problemi si trascinano da anni e in questo 2017 sono esplosi in tutta la loro potenza. Le ragioni del declino sono numerose e vi assicuro che a poco serve tirare in ballo l’assurda gestione della sicurezza che quest’anno ha trasformato il centro di Perugia in una zona militarizzata. Le note stonate sono altre, ben radicate e non facilmente estirpabili. I soli 1.700 spettatori per i Kraftwerk, i 6–700 per Enrico Rava e gli altri “flop” del Santa Giuliana ne sono la testimonianza diretta, così come i concerti “minori” che hanno registrato pochi, pochissimi spettatori. Il jazz non piace più? No, no, piace eccome. Altrove le cose vanno bene. Il motivo della caduta, allora? L’evoluzione, mancata. Umbria Jazz è rimasta ferma a 15 anni fa, c’è poco da fare. Da anni si trascinano gli stessi nomi, ci sono jazzisti enormi che, dopo la decima volta che arrivano a Perugia, diventano evidentemente noiosi anche per il pubblico incallito. Ci sono mondi del jazz inesplorati che UJ non vuole riconoscere, non riesce far conoscere e che, invece, sono la nuova linfa di questo genere, sono il futuro. Ecco, il problema principale è questo: UJ non segna più la temperatura del genere. Umbria Jazz pensa che il jazz sia quello di anni e anni fa, mentre oggi c’è tutto un mondo che reclama spazio e che troverebbe in UJ la sua casa. Penso alla scena scandinava che negli ultimi anni ha sfornato talenti enormi e che solo raramente sono passati di qua. C’è poi una scena legata al mondo dell’elettronica (avete presente gente come Flying Lotus o Thundercat?) che è assolutamente imparentata col jazz e che UJ ignora o ha provato ad assaggiare nel recente passato in maniera poco convinta. Insomma, c’è un mondo musicale che è andato avanti e che UJ non vuole vedere quando fino a qualche anno fa era proprio il festival umbro a dettare la linea di quello che era “cool” e che solo a Perugia si poteva ascoltare. La faccio breve: o UJ si scrolla di dosso la polvere e un po’ di spocchia, oppure le cose sono destinate a peggiorare. Anche perché c’è un altro elemento che deve far riflettere: il notevole aumento dell’offerta di eventi e rassegne che non hanno niente da invidiare a UJ, anzi, spesso sono pure meglio. Pensate al “furto” dello scorso anno con Steve Wonder che ha scelto Lucca invece che Perugia, oppure Lauryn Hill che nell’acropoli sarebbe stata perfetta ed invece è andata pure lei in terra toscana in questi giorni. Aggiungiamo poi tutti gli altri festival rock, meno rock, dance, etc etc che rendono ogni sera la scelta tra Perugia e il resto del mondo sempre più difficile. Chiudo: se UJ vuole tornare ad essere UJ dovrebbe pensare a recuperare il suo spirito originario, quello che fondeva innovazione, qualità e voglia di scoprire mondi musicali nuovi. E ora veniamo a Dancity. Un festival che ha fatto dell’innovazione e della sperimentazione la sua peculiarità, un po’ come faceva una volta Umbria Jazz. Dopo un anno di “quasi pausa”, in questo 2017 Dancity è tornato con un cartellone di gente poco conosciuta o quasi. A parte qualche nome per appassionati, infatti, il festival folignate ha puntato tutto sull’inaspettato. Una scelta di campo, netta, austera. E alla fine vincente. Con le nuove “energie” arrivate quest’anno, infatti, si poteva puntare su qualche grosso nome, che ne so, un Moderat qua, un Trentemoller là, un dj set di qualche tipo famoso, un live act alla Caribou. E invece no, questi nomi ormai li potete ascoltare ovunque, questi nomi non rappresentano più lo spirito di Dancity. Per questo la scelta è stata naturale: sparigliare le carte, giocare d’anticipo, annusare il futuro e portarlo a Foligno. E così è stato. Chi ha avuto la fortuna di godersi il festival lo può testimoniare, il livello è stato altissimo a dispetto dei nomi poco conosciuti. Dancity è riuscita ad essere Dancity, ha creato situazioni diverse dove ha portato in scena l’elettronica viva, suonata e del futuro. Mi vengono in mente gente come i Gaussian Curve, Craig Leon, Bernardino Femminielli, Blawan, Hunee, Lamusa II, Manuel Göttsching e via dicendo. Il festival ha offerto talmente tanta materia di altissimo livello che non si può che applaudire i ragazzi che lo hanno organizzato. Certo, i numeri sono ridotti, si tratta pur sempre di un festival di nicchia anche se di respiro europeo. Eppure il miracolo si è ripetuto e non era scontato. Tirando le somme ed evitando come già scritto i paragoni, il diverso passo che hanno avuto i due festival — mi pare evidente — è la chiave per capire come mai UJ abbia imboccato un preoccupante declino mentre Dancity, tra mille difficoltà, sia riuscito a rinascere con successo. Queste due rassegne vanno prese come esempi, come monito per il futuro. L’identità, la qualità della proposta, la sperimentazione, la capacità di avere le antenne sempre ben dritte per capire dove stia andando la musica: sono questi gli ingredienti — comunque non facili da assemblare — imprescindibili per assicurare il successo o l’insuccesso di un festival.

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