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Il “costo” della guerra si riflette sulla filiera del pane: prezzi su del 15%

Pubblicato il 20 Marzo 2022 06:33 - Modificato il 5 Settembre 2023 11:12

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Stanno “tenendo duro” dal 2021, i circa 300 panificatori umbri che già da metà dell’anno scorso sono alle prese con un progressivo aumento delle materie che vanno a comporre il prezzo finale del pane e dei prodotti da forno, aumento che si è ulteriormente aggravato a causa del conflitto in Ucraina. Tanto da rendere ormai inevitabile a breve un incremento dei prezzi, che comunque si cercherà di contenere tra il 10 e il 15%. Una decisione presa a malincuore ma inevitabile, per non far chiudere le aziende e non mandare a casa i lavoratori. Il settore sconta da tempo una forte contrazione dei consumi di pane, dovuta soprattutto alla modifica degli stili di vita e alle notizie false e fuorvianti che oggi ruotano intorno a questo alimento, principe della dieta mediterranea. 

Per fare il punto sui problemi della categoria e mettere le basi della ricostituzione di un sindacato locale, si è riunita nella sede di Confcommercio Umbria una rappresentanza di operatori del settore, guidata dal Luigi Faffa, delegato dei Panificatori Confcommercio Umbria. 
“Già ad ottobre 2021 – spiega Faffa – avevamo espresso grande preoccupazione per l’aumento dei prezzi medi del grano, delle materie prime, del gas e dell’energia elettrica, dei trasporti. Aumenti che in questo inizio del 2022 si sono ulteriormente aggravati, tanto più in conseguenza del conflitto in Ucraina. Le voci che incidono sul prezzo finale sono una infinità. Non parliamo solo di farine o dell’energia elettrica, ma ad esempio anche di olio, o della carta e dei cartoni. Alcuni colleghi non propongono più i dolci su ordinazione perché mediamente sul loro prezzo il cartone in cui sono collocati per la consegna incide attorno ai 5 euro, e non se la sentono di applicare al cliente un tale aggravio. La nostra categoria – sottolinea ancora Faffa – ha un forte senso etico e di responsabilità sociale verso il consumatore. Molte delle nostre imprese hanno una lunghissima tradizione, i padri delle generazioni oggi al lavoro hanno “sfamato” letteralmente la popolazione nei momenti bui della nostra storia. Per questo la decisione di aumentare il prezzo del pane e dei prodotti da forno – peraltro in modo assolutamente contenuto rispetto agli aumenti di tanti beni di prima necessità – è molto sofferta, ma è inevitabile per assicurare la sopravvivenza delle imprese e dell’occupazione e la qualità dei nostri prodotti artigianali, elemento che ci caratterizza, che fa la differenza e in cui ogni operatore mette il suo estro e la sua originalità. Quel 10-15% in più non andrà ad aumentare i nostri profitti, ma a mantenere un livello di qualità che noi sentiamo da sempre come un dovere verso la nostra clientela, che viene sempre al primo posto e che consideriamo il nostro patrimonio”. 

La filiera è reduce tra altro da due anni di difficoltà generate dal Covid. Se infatti è vero che i panifici sono stati tra le imprese che hanno avuto la possibilità di restare aperti nel corso di tutta la durata del lockdown, è altrettanto vero che hanno subito un ulteriore calo delle vendite perché, proprio a causa del lockdown, buona parte delle attività commerciali di sbocco dei propri prodotti panari, quali i ristoranti, gli alberghi e i bar, nel frattempo erano completamente chiusi, per non parlare della potenziata autoproduzione di prodotti della panificazione da parte della grande distribuzione, che ha contribuito ad aggravare ulteriormente una situazione economica già di per se precaria.

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